Praenotanda per il Rito della Santa Messa
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COSTITUZIONE
APOSTOLICA
CON LA QUALE SI PROMULGA
IL
MESSALE ROMANO RIFORMATO
A NORMA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
PAOLO
VESCOVO
SERVO
DEI SERVI DI DIO - A PERPETUA MEMORIA
Il
Messale Romano, promulgato nel 1570 dal Nostro Predecessore san Pio V per ordine
del Concilio di Trento1, è per comune consenso uno dei numerosi e
ammirevoli frutti che quel santo Concilio diffuse in tutta la Chiesa. Per
quattro secoli infatti, non solo ha fornito ai sacerdoti di rito latino la norma
per la celebrazione del Sacrificio eucaristico, ma venne anche diffuso in quasi
tutto il mondo dai predicatori del Vangelo. Inoltre, innumerevoli santi hanno
abbondantemente nutrito la loro pietà verso Dio attingendo da quel Messale le
letture della Sacra Scrittura o le preghiere, la cui disposizione generale
risaliva in gran parte a Gregorio Magno. Ma da quando si è sviluppato e diffuso
nel popolo cristiano il movimento liturgico che, secondo l'espressione del
Nostro Predecessore Pio XII, di venerata memoria, deve essere considerato come
un segno della provvidenziale disposizione di Dio per gli uomini del nostro
tempo, un passaggio salutare dello Spirito Santo nella sua Chiesa2,
si è sentita l'esigenza che le formule del Messale Romano fossero rivedute e
arricchite. Primo passo di tale riforma è stata l'opera del Nostro Predecessore
Pio XII, con la riforma della Veglia Pasquale e dell'Orda della Settimana
Santa3, che costituì il primo passo dell'adattamento del Messale
Romano alla mentalità contemporanea.
Il
recente Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgando la costituzione Sacrosanctum concilium, ha posto le basi
della riforma generale del Messale Romano, stabilendo che: «L'ordinamento dei
testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà, da essi
significate, siano espresse più chiaramente»4; che: «L'ordinamento
rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura
specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile
la pia e attiva partecipazione dei fedeli»5; e inoltre: «Perché la
mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza,
vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia»6; e infine che:
«Venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel Pontificale
e nel Messale Romano»7.
Non
bisogna tuttavia pensare che tale revisione del Messale Romano sia stata
improvvisata: le hanno, senza dubbio, aperta la via i progressi che la scienza
liturgica ha compiuto negli ultimi quattro secoli.
Se
infatti, dopo il Concilio di Trento, molto ha contribuito alla revisione del
Messale Romano lo studio degli «antichi manoscritti della Biblioteca Vaticana e
di altri, raccolti da ogni parte», come dice la Costituzione apostolica Quo primum del Nostro Predecessore san
Pio V, da allora sono state scoperte e pubblicate le più antiche fonti
liturgiche, e nello stesso tempo sono state meglio conosciute le formule
liturgiche della Chiesa Orientale; e così molti hanno insistito perché tali
ricchezze dottrinali e insieme spirituali non rimanessero nell'oscurità delle
biblioteche, ma venissero invece messe in luce per rischiarare e nutrire la
mente e l'animo dei cristiani. Presentiamo ora, a grandi linee, la nuova
composizione del Messale Romano. Anzitutto, nella Institutio Generalis, che serve come
introduzione al libro, sono esposte le nuove norme
per
la celebrazione del Sacrificio eucaristico, sia per ciò che riguarda i riti e le
funzioni di ciascuno dei partecipanti, sia per ciò che concerne la suppellettile
e i luoghi sacri. L'innovazione maggiore riguarda la Preghiera eucaristica.
Mentre nel rito romano, la prima parte di tale preghiera, il prefazio, ha
assunto lungo i secoli formulari diversi, l'altra parte invece, chiamata Canon Actionis, ha assunto, tra il IV e
il V secolo, una forma invariabile, al contrario delle liturgie orientali, che
ammettevano una certa varietà nelle loro anafore. In tale opera, oltre ad avere
arricchita la Preghiera eucaristica di un gran numero di prefazi, presi
dall'antica tradizione della Chiesa romana, o composti ex novo, al fine di mettere in luce i
diversi aspetti del mistero della salvezza e di offrire più ricchi motivi di
azione di grazie, abbiamo deciso di aggiungere alla medesima Preghiera tre nuovi
Canoni. Tuttavia, per motivi di ordine pastorale, e al fine di facilitare la
concelebrazione, abbiamo stabilito che le parole del Signore siano uguali in
ciascun formulario del Canone. Stabiliamo pertanto che in ciascuna delle
Preghiere eucaristiche, esse siano così espresse: sul pane: Accipite et manducate ex hoc omnes: Hoc est
enim Corpus meum, quod pro vobis tradetur; e sul calice: Accipite et bibite ex eo omnes: Hic est enim
calix Sanguinis mei novi et aeterni testamenti, qui pro vobis et pro multis
effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam commemorationem.
L'espressione
Mysterium fidei, tolta dal contesto
delle parole del Signore, e detta dal sacerdote, serve come da introduzione
all'acclamazione dei fedeli.
Per
ciò che riguarda l'Ordinario della Messa, i riti, pur conservandone fedelmente
la sostanza, sono stati semplificati8. Si sono pure tralasciati
«quegli elementi che con il passare dei secoli furono duplicati o meno utilmente
aggiunti»9, soprattutto nei riti dell'offerta del pane e del vino e
in quelli della frazione del pane e della comunione.
Si
sono pure «ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, alcuni elementi che con
il tempo erano andati perduti»10; per esempio l'omelia11,
la preghiera universale o preghiera dei fedeli12, l'atto
penitenziale, cioè l'atto di riconciliazione con Dio e con i fratelli,
all'inizio della Messa, che giustamente è stato rivalutato.
Secondo
la prescrizione del Concilio Vaticano II, che stabiliva: «In un determinato
numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra
Scrittura»13, tutto il complesso delle letture delle domeniche è
suddiviso in un ciclo di tre anni. Inoltre in tutti i giorni festivi, le letture
dell'Epistola e del Vangelo sono precedute da un'altra lettura tratta
dall'Antico Testamento oppure, nel Tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli. In
tal modo è messo più chiaramente in luce lo sviluppo del mistero della salvezza,
a partire dallo stesso testo della rivelazione.
Tale
larghissima abbondanza di letture bibliche, che propone ai fedeli nei giorni
festivi la parte più importante della Sacra Scrittura, viene completata da altre
parti dei Libri Santi letti nei giorni feriali. Tutto ciò è ordinato in modo da
far aumentare sempre più nei fedeli «quella fame... d'ascoltare la parola del
Signore»14 che, sotto la guida dello Spirito Santo, spinga il popolo
della Nuova Alleanza alla perfetta unità della Chiesa. Con queste disposizioni
nutriamo viva speranza che sacerdoti e fedeli prepareranno più santamente il
loro animo alla Cena del Signore, e nello stesso tempo, meditando più
profondamente le Sacre Scritture, si nutriranno ogni giorno di più delle parole
del Signore. Secondo quanto è detto dal Concilio Vaticano II, le Sacre Scritture
saranno così per tutti una sorgente perenne di vita spirituale, un mezzo di
prim'ordine per trasmettere la dottrina cristiana e infine l'essenza stessa di
tutta la teologia.
In
questo rinnovamento del Messale Romano oltre ai tre cambiamenti, di cui si è
parlato sopra, e cioè la Preghiera eucaristica, L'Ordo Missae e l'Ordo lectionum Missae anche altre
parti sono state rivedute e considerevolmente modificate: il Temporale, il
Santorale, il Comune dei santi, le Messe rituali e le Messe votive.
Un'attenzione particolare è stata dedicata alle orazioni, che non solo sono
state aumentate di numero, perché le nuove orazioni rispondessero meglio alle
nuove necessità dei tempi, ma anche quelle più antiche sono state riportate alla
fedeltà degli antichi testi. Per ciascuna feria dei tempi liturgici principali,
Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua, si è provveduto a un'orazione propria.
Il
testo del Graduale romano, almeno per quanto riguarda il canto, non è stato
cambiato. Ma, per una migliore comprensione, è stato restaurato il salmo
responsoriale, a cui spesso si riferiscono sant'Agostino e san Leone Magno, e
sono state adattate le antifone d'ingresso e di comunione per le Messe lette.
Infine, vogliamo qui riassumere efficacemente quanto abbiamo finora esposto sul
nuovo Messale Romano. Il Nostro Predecessore san Pio V, promulgando l'edizione
ufficiale del Messale Romano, lo presentò al popolo cristiano come fattore di
unità liturgica e segno della purezza del culto della Chiesa. Allo stesso modo
noi abbiamo accolto nel nuovo Messale legittime varietà e adattamenti, secondo
le norme del Concilio Vaticano II15; tuttavia confidiamo che questo
Messale sarà accolto dai fedeli come mezzo per testimoniare e affermare l'unità
di tutti, e che per mezzo di esso, in tanta varietà di lingue, salirà al Padre
celeste, per mezzo del nostro Sommo Sacerdote Gesù Cristo, nello Spirito Santo,
più fragrante di ogni incenso, una sola e identica preghiera.
Le
prescrizioni di questa Costituzione andranno in vigore il 30 novembre del
corrente anno, prima domenica di Avvento. Quanto abbiamo qui stabilito e
ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante
quanto vi possa essere di contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti
Apostolici dei Nostri Predecessori e in altre disposizioni, anche degne di
particolare menzione e deroga.
Dato
a Roma, presso San Pietro,
il
3 aprile 1969, giovedì nella Cena del Signore,
sesto
anno del Nostro Pontificato.
PAOLO
PP.
VI
1) Cf Cost. ap.
Quo
primum,
14.7.1570.
2)
Cf Pio XII, Allocuzione ai partecipanti al primo
Congresso internazionale di pastorale liturgica di Assisi, 22.9.1956: AAS 48
(1956), p. 712.
3) Cf S. CONGR.DEI RITI, Decr. Dominicae resurrectionis, 9.2.1951: AAS 43 (1951), pp. 128 ss; Decr. Maxima redemptionis nostrae mysteria, 16.11.1955: AAS 47 (1955), pp. 838 ss.
4)
SC 21.
5)
SC 50.
6)
SC 51.
7) SC 57.
8) Cf SC 50.
9) SC 50.
10) SC 50.
11) Cf SC 52.
12) Cf SC 53.
13)
SC 51.
14) Am 8,11.
15)
Cf SC 38-40.
PRINCIPI
E NORME
1.
Appressandosi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale
istituì il Sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo Signore ordinò di
preparare una sala grande e addobbata (Le 22, 12). Quest'ordine la Chiesa l'ha
sempre considerato rivolto a se stessa quando dettava le norme per preparare gli
animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione
dell'Eucaristia. Anche le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del
Concilio Ecumenico Vaticano II, come anche il nuovo Messale, che la Chiesa di
rito romano userà d'ora innanzi per celebrare la Messa, sono una prova di questa
sollecitudine, della Chiesa, della sua fede e del suo amore immutato verso il
grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta
tradizione, nonostante vi siano state introdotte alcune novità.
Testimonianza
di una fede immutata
2.
La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal Concilio di
Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa1, è stata
riaffermata dal Concilio Vaticano II, che ha pronunziato, a proposito della
Messa, queste significative parole: «II nostro Salvatore nell'ultima Cena...
istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di
perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e di
affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e
risurrezione»2.
Questo
insegnamento del Concilio lo si ritrova costantemente nelle formule della Messa.
Dice il Sacramentario Leoniano: «Ogni volta che celebriamo il memoriale di
questo sacrificio, si compie l'opera della nostra redenzione»3;
ebbene, la dottrina espressa con precisione in questa frase è sviluppata con
chiarezza e con cura nelle Preghiere eucaristiche: in queste Preghiere, quando
il sacerdote fa l'anamnesi, rivolgendosi a Dio in nome di tutto il popolo, gli
rende grazie e gli offre il sacrificio vivo, santo, cioè l'oblazione della
Chiesa e la vittima per la cui immolazione Dio ha voluto essere
placato4, e prega perché il Corpo e il Sangue di Cristo siano un
sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero5. Così,
nel nuovo Messale, la regola della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua
costante regola di fede; questa ci dice che, fatta eccezione per il modo di
offrire, e che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della Croce e
la sua rinnovazione sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito
nell'ultima Cena e ha ordinato agli Apostoli di celebrare in memoria di lui; e
per conseguenza, la Messa è insieme sacrificio di lode, d'azione di grazie, di
propiziazione e di espiazione.
3.
Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie
eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II6 e dagli altri
documenti del magistero della Chiesa7, nel medesimo senso e con la
medesima dottrina con cui il Concilio di Trento l'aveva proposto alla nostra
fede8. Nella celebrazione della Messa, questo mistero è posto in luce
non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono il Cristo
presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e
dall'espressione esterna di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto
oggetto nel corso della liturgia eucaristica.
Per
lo stesso motivo, al Giovedì Santo, nella Cena del Signore, e nella solennità
del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in
modo particolare, con l'adorazione, questo ammirabile sacramento.
4.
Quanto alla natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del presbitero, in
quanto egli offre il sacrificio nella persona di Cristo e presiede l'assemblea
del popolo santo, essa è posta in luce, nell'espressione stessa del rito, dal
posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione
sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale
del Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l'istituzione del sacerdozio. Il
testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell'imposizione
delle mani, e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è
la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, Pontefice sommo della
Nuova Alleanza.
5.
Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce
un'altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui
sacrificio spirituale raggiunge la sua perfezione attraverso il ministero dei
presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico Mediatore9.
La celebrazione dell'Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa; in essa
ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli rompete, tenuto conto
del posto che egli occupa nel popolo di Dio. E il motivo per cui si presta ora
una maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei
secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di
Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito con la sua
Parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta
la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della
salvezza, offrendo il suo Sacrificio; popolo infine che per mezzo della
comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è
già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole,
attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in
santità10.
Prova
di una tradizione ininterrotta
6.
Nell'enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il Vaticano II ha
ordinato, tra l'altro, che certi riti venissero «riportati all'antica tradizione
dei santi Padri»11: sono le stesse parole usate da san Pio V nella
lettera apostolica Quo primum con la
quale nel 1570 promulgava il Messale di Trento. Anche da questo incontro verbale
è facile rilevare come i due Messali romani, benché separati da quattro secoli,
conservino una medesima e identica tradizione. Se poi si tengono presenti gli
elementi profondi di questa tradizione, non è difficile rendersi conto come il
secondo Messale completi egregiamente il primo.
7.
In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in
pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la
presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V
premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente
ingiustamente attaccata, introducendo il meno possibile di cambiamenti nel sacro
rito. E in verità, il Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale
stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del
tempo di Innocenze III. Inoltre i manoscritti della Biblioteca Vaticana, anche
se avevano permesso di adottare in certi casi delle lezioni migliori, non
consentirono in quella diligente ricerca di «antichi autori fede degni», di
andare al di là di quanto s'era fatto con i commentari liturgici del
Medioevo.
8.
Attualmente, al contrario, questo «ordinamento dei santi Padri» tenuto presente
dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si è arricchito di
innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del Sacramentario
Gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati
oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri
liturgici spagnoli e gallicani, che han fatto riscoprire un buon numero di
preghiere fino allora ignorate, ma di non poca importanza sotto l'aspetto
spirituale.
Data
poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono pure,
attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla
formazione dei riti d'Oriente e d'Occidente. Inoltre, il progresso degli studi
patristici ha permesso di appurare la teologia del mistero eucaristico
attraverso l'insegnamento di Padri eminenti nell'antichità cristiana, come
sant'Ireneo, sant'Ambrogio, san Crillo di Gerusalemme, san Giovanni
Crisostomo.
9.
La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si conservi la
tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma che si tenga presente
e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia
un'accurata indagine sui modi molteplici con cui l'unica fede si è manifestata
in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in
uso nelle regioni abitate da semiti, greci e latini. Questo approfondimento più
vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo di Dio
un'ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per grande
che sia la varietà delle preghiere e dei riti.
Adattamento
alle nuove condizioni
10.
Il nuovo Messale mentre attesta la lex
orandi della Chiesa romana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso
dai recenti Concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella
tradizione liturgica.
Quando
i Padri del Concilio Vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del
Concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un'epoca ben diversa nella
vita del mondo; è per questo che nel campo pastorale essi hanno potuto dare dei
suggerimenti e dei consigli, che sarebbero stati impensabili quattro secoli
prima.
11.
Il Concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechetico
contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva trame tutte le
conseguenze pratiche. In realtà si chiedeva da molti che venisse concesso l'uso
della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a
tale richiesta, il Concilio, considerate le circostanze di allora, riteneva suo
dovere riaffermare la dottrina tradizionale della
Chiesa,
secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso:
per conseguenza, la sua efficacia non dipende affatto dal modo di partecipazione
dei fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e misurate insieme:
«Benché la Messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i
Padri non hanno ritenuto opportuno, che venga celebrata indistintamente in
lingua volgare»12. E condannò chi osasse affermare che «non si deve
ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e
le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la Messa si
debba celebrare in lingua volgare»13. Nondimeno, se da un lato proibì
l'uso della lingua parlata nella Messa, dall'altro ordinò ai pastori di
supplirvi con un'opportuna catechesi: «Perché il gregge di Cristo non soffra la
fame... il santo Concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura
d'anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa,
o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa, e di
spiegare, tra l'altro, il mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente
nelle domeniche e nei giorni festivi»14.
12.
Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua
missione apostolica, il Concilio Vaticano II ha, come quello di Trento,
esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della
liturgia15. E poiché non v'è ormai nessun cattolico che neghi la
legittimità e l'efficacia del rito compiuto in lingua latina, il Concilio ha
ammesso senza difficoltà che «l'uso della lingua parlata può riuscire spesso di
grande utilità per il popolo», e l'ha quindi permessa16. L'entusiasmo
con cui questa decisione è stata dappertutto accolta, ha portato, sotto la guida
dei vescovi e della stessa sede apostolica, alla concessione che tutte le
celebrazioni liturgiche con partecipazione di popolo si possano fare in lingua
viva, per rendere più facile l'intelligenza piena del mistero celebrato.
13. Tuttavia, poiché l'uso della lingua
parlata nella sacra liturgia è soltanto uno strumento, anche se molto
importante, per esprimere più chiaramente la catechesi del mistero contenuto
nella celebrazione, il Concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in
pratica certe prescrizioni del Concilio di Trento che non erano state
dappertutto osservate, come il dovere di fare l'omelia nelle domeniche e nei
giorni festivi17; e la possibilità di intercalare ai riti determinate
esortazioni18. Soprattutto però il Concilio Vaticano II, nel
consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa per la quale i fedeli
dopo la comunione del sacerdote ricevono il Corpo del Signore dal medesimo
sacrificio»19, ha portato al compimento di un altro voto dei Padri
Tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all'Eucaristia «nelle
singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l'intimo fervore
dell'anima, ma anche con la recezione sacramentale
dell'Eucaristia»20.
14. Indotto dal medesimo spirito e dallo
stesso zelo pastorale, il Concilio Vaticano II ha potuto riesaminare le
decisioni di Trento a proposito della comunione sotto le due specie. Poiché
attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della
comunione sotto la sola specie del pane, il Concilio ha permesso in alcuni casi
la comunione sotto le due specie, con la quale, grazie a una presentazione più
chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il
mistero al quale i fedeli partecipano21.
15. In questo modo, mentre la Chiesa
rimane fedele al suo compito di maestra di verità conservando «ciò che è
vecchio» cioè il deposito della Tradizione, assolve pure il suo compito di
esaminare e adottare con prudenza «ciò che è nuovo» (cf Mt 13, 52).
Una
parte del nuovo Messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai
bisogni del nostro tempo; tali sono specialmente
le
Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono felicemente
tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni
attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso
Messale Romano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle
esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la
Chiesa, per i laici, per la santificazione del lavoro umano, per l'unione di
tutti i popoli, e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state
interamente composte ex novo, traendo
i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.
Così
pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo
contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro
della Tradizione modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di
meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché
esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della
Chiesa.
Per
questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di
una certa mentalità sull'apprezzamento e sull'uso dei beni terrestri, e altri
ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della
Chiesa di altri tempi.
Le
norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque, su molti punti,
completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il Concilio ha così
condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi
condotti per quattro secoli e con più intensità in un'epoca recente, grazie
soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori.
1) Sess. XXII,
Doctrina de ss.
Missae
sacrificio:
DS
1738-1759.
2)
SC 47; cf LG 3, 28; PO 2, 4, 5.
3)
Cf Sacramentarium veronense, ed.
L.C. MOHLBERG, n. 93.
5)
Cf Preghiera eucaristica IV.
6)
SC 7, 47; PO 5, 18.
7)
Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: AAS 42 (1950), pp.
570-571; MF: EV II, 421-432; PAOLO
VI, Sollemnis professio fidei,
30.6.1968, nn. 24-26: EV III, 560-562; EM 3f, 9.
8) Cf Sess. XIII,
Decretum de
ss.
Eucaristia:
DS
1635-1661.
9)
Cf PO 2.
10)
Cf SC 11.
11)
Cf SC 50.
12) Conc. TRIO., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap.
8:
DS 1749.
13) Ibid., cap. 9: DS
1750.
14) Ibid., cap. 8: DS
1749.
15) Cf SC 33.
16) SC 36.
17) SC 52.
18) SC 35, 3.
19) SC 55.
20) Sess.
XXII,
Doctrina de ss.
Missae
sacrificio,
cap.
6: DS 1747.
IMPORTANZA
E DIGNITÀ DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
1.
La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio
gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per
la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli1.
Nella Messa infatti si ha il culmine sia dell'azione con cui Dio santifica il
mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per
mezzo di Cristo Figlio di Dio2. In essa inoltre la Chiesa commemora,
nel corso dell'anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo
modo presenti3. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della
vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano e ad
essa sono ordinate4.
2.
È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o Cena del
Signore, sia ordinata in modo che i ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno
secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei
frutti5, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito
il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come
memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima
sposa6.
3.
Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e
delle altre caratteristiche di ogni assemblea, tutta la celebrazione verrà
ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole,
attiva e piena, esterna ed interna, ardente di fede, speranza e carità;
partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa
della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in
forza del Battesimo7.
4.
Non sempre si può avere la presenza e l'attiva partecipazione dei fedeli, che
manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell'azione
liturgica8; sempre però la celebrazione eucaristica ha l'efficacia e
la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della
Chiesa9, e il sacerdote vi agisce sempre per la salvezza del
popolo.
5.
Poiché inoltre la celebrazione dell'Eucaristia, come tutta la liturgia, si
compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta,
s'irrobustisce e si esprime10, si deve avere la massima cura nello
scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e
che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più
intensamente la partecipazione attiva e piena e rispondere più adeguatamente al
bene dei fedeli.
6.
Pertanto questa «Istruzione» si propone di esporre i principi generali per
l'ordinamento della celebrazione dell'Eucaristia, e presentare le norme per
regolare le singole forme di celebrazione11. Le Conferenze
Episcopali, secondo la Costituzione sulla Sacra Liturgia, possono prescrivere,
per il loro territorio, delle norme che tengano conto delle tradizioni e della
cultura propria dei loro popoli, delle regioni e delle diverse
comunità12.
Capitolo
II
STRUTTURA,
ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA
I.
Struttura generale della Messa
7.
Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme
sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per
celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio
eucaristico13.
Per
questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la
promessa di Cristo: «Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in
mezzo a loro» (Mt 18, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale
si perpetua il sacrificio della Croce14, Cristo è realmente presente
nell'assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella
sua Parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie
eucaristiche15.
8.
La Messa è costituita da due parti, la «liturgia della Parola» e la «liturgia
eucaristica»; esse son così strettamente congiunte tra di loro da formare un
unico atto di culto16. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la
mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne
ricevono istruzione e ristoro17. Ci sono inoltre alcuni riti che
iniziano e altri che concludono la celebrazione.
II.
I diversi elementi della Messa
Lettura
della parola di Dio e sua spiegazione
9.
Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo
e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.
Per
questo, le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento
importantissimo della Liturgia, si devono ascoltare da tutti con venerazione. E
benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti
gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia la sua efficacia
viene
accresciuta
da un'esposizione viva e attuale, cioè dall'omelia, che è considerata parte
dell'azione liturgica18.
Le
orazioni e le altre farti che spettano al sacerdote
10. Tra le parti proprie del sacerdote,
occupa il primo posto la Preghiera eucaristica, culmine di tutta la
celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l'orazione di inizio (o colletta),
l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la comunione. Queste preghiere dette
dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell'assemblea nella persona di
Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell'intero popolo santo e di tutti i
presenti19. Perciò giustamente si chiamano «orazioni
presidenziali».
11. Spetta ugualmente al sacerdote, per il
suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata, formulare alcune monizioni e
proporre le formule di introduzione e di conclusione previste nel rito medesimo.
Di loro natura queste monizioni non esigono di essere pronunziate alla lettera,
nella formulazione presentata nel Messale; per cui potrà essere opportuno
l'adattarle in qualche modo, almeno in alcuni casi, alle vere condizioni della
comunità20. Così pure spetta al sacerdote che presiede annunziare la
parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire
con brevissime parole, all'inizio della celebrazione, per introdurre i fedeli
alla Messa del giorno; alla liturgia della Parola, prima delle letture; alla
Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per
concludere l'intera azione sacra.
12. La natura delle parti «presidenziali»
esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da
tutti con attenzione21. Perciò mentre il sacerdote le dice, non si
devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l'organo e altri strumenti musicali
devono tacere.
13. Il sacerdote formula preghiere non
soltanto come presidente a nome di tutta la comunità, ma talvolta anche a titolo
personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e
pietà. Tali preghiere si dicono sottovoce.
Altre
formule che ricorrono nella celebrazione
14. Poiché la celebrazione della Messa,
per sua natura, ha carattere «comunitario»22, grande rilievo assumono
i dialoghi tra il celebrante e l'assemblea dei fedeli, e le
acclamazioni23. Infatti questi elementi non sono soltanto segni
esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la
comunione tra il sacerdote e il popolo.
15. Le acclamazioni e le risposte dei
fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di
partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di
Messa per esprimere e ravvivare l'azione di tutta la comunità24.
16. Altre parti, assai utili per
manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all'intera
assemblea: sono soprattutto l'atto penitenziale, la professione di fede, la
preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del
Signore (cioè il Padre nostro).
17. Infine, tra le altre formule:
a)
alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l'inno Gloria, il salmo
responsoriale, l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il
Santo (Sanctus), l'acclamazione dell'anamnesi e il canto dopo la comunione;
b)
altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d'ingresso, di
offertorio, quelli che accompagnano la «frazione» o atto di spezzare il pane
(Agnello di Dio - Agnus Dei) e la comunione.
In
qual modo proclamare i vari testi
18.
Nei
testi che devono esser pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dai
ministri, o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo secondo che
si tratti di una lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione,
di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla
solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche
delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.
Nelle
rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare» devono
essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei
principi sopra esposti.
Importanza
del canto
19.
I fedeli che si radunano nell'attesa della venuta del loro Signore, sono
esortati dall'Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cf
Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf At 2, 46). Perciò
dice molto bene sant'Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»25, e
già dall'antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte». Nelle
celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, tenuto conto della
diversità culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo anche
se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono
destinati al canto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la
preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono
essere cantate dal sacerdote o dai ministri con la risposta del popolo, o dal
sacerdote e dal popolo insieme26. Poiché sono sempre più frequenti le
riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare
insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti
dell'Ordinario della Messa, specialmente il Simbolo della fede e la preghiera
del Signore (Padre nostro)27.
Gesti
e atteggiamenti del corpo
20. L'atteggiamento comune del corpo, che
tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità
e dell'unità dell'assemblea: esso esprime e favorisce l'intenzione e i
sentimenti dell'animo dei partecipanti28.
21. Per ottenere l'uniformità nei gesti e
negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal
diacono, o dal sacerdote, o da un altro ministro, durante la celebrazione.
Inoltre, in tutte le Messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in
piedi dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca
all'altare, fino alla conclusione dell'orazione di inizio (o colletta), durante
il canto dell'Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo;
durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei
fedeli); dall'orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta
eccezione di quanto è detto in seguito. Stiano invece seduti durante la
proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale;
all'omelia e durante la preparazione dei doni all'offertorio; se lo si ritiene
opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione. S'inginocchino poi alla
consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran
numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli.
Spetta
però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo,
descritti nel Rito della Messa romana, alla cultura dei vari
popoli29. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti
corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione.
22.
Fra i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti del sacerdote nel
recarsi all'altare, quelle per la presentazione dei doni e per la comunione dei
fedeli. Conviene che queste azioni siano fatte in modo decoroso, mentre si
eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per i singoli
movimenti.
Il
silenzio
23. Si deve anche osservare, a suo tempo,
il sacro silenzio, come parte della celebrazione30. La sua natura
dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante
l'atto penitenziale e dopo l'invito alla preghiera, il silenzio aiuta il
raccoglimento; dopo la lettura o l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente
ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di
lode e di ringraziamento.
III.
Le singole parti della Messa
A)
RITI DI INTRODUZIONE
24.
Le parti che precedono la liturgia della Parola, cioè l'introito, il saluto,
l'atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l'orazione (o colletta),
hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.
Scopo
di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si
dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente
l'Eucaristia.
L'introito
25. Quando il popolo è riunito, mentre il
sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d'ingresso. La
funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione,
favorire l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del
tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e
dei ministri.
26. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l'antifona con un suo canto, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all'azione sacra,
al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.
Se
all'introito non ha luogo il canto, l'antifona proposta dal Messale Romano viene
letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o anche dallo stesso
sacerdote dopo il saluto.
Saluto
all'altare e al popolo radunato
27.
Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l'altare. In segno di
venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote lo può
incensare secondo l'opportunità.
28.
Terminato il canto d'ingresso, il sacerdote e tutta l'assemblea si segnano col
segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita la
presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano
il mistero della Chiesa radunata.
Atto
penitenziale
29.
Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne sia capace, può
fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il sacerdote
invita all'atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante
la confessione generale, e si conclude con l'assoluzione del sacerdote.
Kyrie
eleison
30.
Dopo l'atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno che non sia già
stato detto durante l'atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli
acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito
da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore. Ogni acclamazione
di solito si dice due volte; ma non si esclude che, in considerazione
dell'indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze
particolari, sia ripetuto un maggior numero di volte, o intercalato da un breve
«tropo». Se il Kyrie eleison non viene cantato, si recita.
Gloria
in excelsis
31.
Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata
nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello. Viene cantato
da tutta l'assemblea, o dal popolo alternativamente con la schola oppure dalla schola. Se non lo si canta, viene
recitato da tutti, insieme o alternativamente.
Lo
si canta o si recita nelle domeniche fuori del Tempo di Avvento e Quaresima; e
inoltre nelle solennità e feste, e in particolari celebrazioni più solenni.
Orazione
conclusiva dei riti di introduzione (o colletta)
32.
Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il sacerdote
stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla
presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale.
Quindi il sacerdote dice l'orazione, chiamata comunemente «colletta». Per mezzo
di essa viene espresso il carattere della celebrazione e con le parole del
sacerdote si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello
Spirito Santo. Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso,
fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen. Nella Messa si dice una sola
colletta; la stessa cosa vale anche per l'orazione sulle offerte e dopo la
comunione. La colletta termina con la conclusione lunga, e cioè:
-
se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei
secoli;
-
se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione
del Figlio: Egli è Dio (opp. che è Dio) e vive e regna con te, nell'unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
-
se è rivolta al Figlio: Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell'unità
dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
invece
l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la comunione hanno la conclusione
breve, e cioè:
-
se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
-
se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione
del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;
-
se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
B)
LITURGIA DELLA PAROLA
33.
Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano,
costituiscono la parte principale della liturgia della Parola; l'omelia, la
professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano
e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nella
omelia, Dio parla al suo popolo31, gli manifesta il mistero della
redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è
presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli32. Il popolo fa
propria questa parola divina con i canti e vi aderisce con la professione di
fede; così nutrito, prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la
Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
Le
letture bibliche
34.
Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono loro
i tesori della Bibbia33. Poiché secondo la tradizione l'ufficio di
proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno dei ministri, conviene
che, d'ordinario, il diacono, o, in sua assenza, un altro sacerdote legga il
Vangelo; un lettore invece legga le altre letture. Mancando però il diacono o un
altro sacerdote, leggerà il Vangelo lo stesso sacerdote
celebrante34.
35.
Alla lettura del Vangelo si deve il massimo rispetto; lo insegna la liturgia
stessa, perché la distingue dalle altre letture con particolari onori: sia da
parte del ministro incaricato di proclamarla che si prepara con la benedizione o
con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni
riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la
lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono
al libro dei Vangeli.
I
canti tra le letture
36.
Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale, che è parte
integrante della liturgia della Parola. Il salmo, d'ordinario, è preso dal
Lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente connesso con la relativa
lettura: pertanto la scelta del salmo dipende dalle letture. Nondimeno, perché
il popolo più facilmente possa ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni
testi comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le
diverse categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto di
quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato.
Il
salmista o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo all'ambone o
in altro luogo adatto; l'assemblea sta seduta e ascolta, e partecipa di solito
con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero
senza ritornello. Se si canta, oltre al salmo designato sul Lezionario, si può
utilizzare o il graduale del Graduale
romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico del Graduale simplex, così come sono
indicati in tali libri.
37.
Alla seconda lettura segue l'Alleluia o un altro canto, a seconda del tempo
liturgico.
a)
L'Alleluia si canta in qualsiasi Tempo, tranne che in Quaresima. Può essere
iniziato o da tutti, o dalla schola,
o da un cantore e, se è il caso, lo si ripete. I versetti si scelgono dal
Lezionario oppure dal Graduale.
b)
L'altro canto è costituito da un versetto prima del Vangelo, oppure da un altro
salmo o tratto, come si trovano nel Lezionario o nel Graduale.
38.
Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a)
nel Tempo in cui si canta l'Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico,
oppure il salmo e l'Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo
l'Alleluia;
b)
nel tempo in cui l'Alleluia non si canta, si può eseguire o il salmo o il
versetto prima del Vangelo (cioè il canto al Vangelo).
39.
Il salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere letto ad alta voce;
invece l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono
tralasciare.
40.
La sequenza è facoltativa, eccetto nei giorni di Pasqua e di Pentecoste.
L'omelia
42.
Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere l'omelia in tutte le
Messe con partecipazione di popolo; non si può omettere senza una ragione grave.
Negli altri giorni è raccomandata specialmente nelle ferie di Avvento, di
Quaresima e del Tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle
quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa37.
L'omelia
di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante.
La
professione di fede
43.
Il Simbolo, o professione di fede, nella celebrazione della Messa, ha lo scopo
di suscitare nell'assemblea, dopo l'ascolto della parola di Dio nelle letture e
nell'omelia, una risposta di assenso, e di richiamare alla mente la regola della
fede, prima di incominciare la celebrazione dell'Eucaristia.
44.
Il Simbolo deve esser recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle
domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più
solenni. Se viene cantato, si canti normalmente da tutti o a cori alterni.
La
preghiera universale
45.
Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, esercitando la
sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. È conveniente che nelle
Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella
quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che
si trovano in necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il
mondo38.
46.
La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:
a)
per le necessità della Chiesa;
b)
per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo; e) per quelli che si
trovano in difficoltà; d) per la comunità locale.
Tuttavia
in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione, nel
Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle intenzioni può venire adattata
maggiormente alla circostanza particolare.
47.
Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare, con una breve
monizione, i fedeli a pregare, e concludere la preghiera con un orazione. Sarà
bene che le intenzioni siano proposte da un diacono o da un cantore, o da
qualche altra persona39. Tutta l'assemblea esprime la sua preghiera o
con un'invocazione comune, dopo che sono state presentate le intenzioni, oppure
pregando in silenzio.
C)
LITURGIA EUCARISTICA
48.
Nell'ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del
quale è reso di continuo presente nella
Chiesa
il sacrificio della Croce, allorché il sacerdote che rappresenta Cristo Signore,
compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli perché lo facessero
in memoria di lui40. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese
grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete,
mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate
questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione
della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e
gesti di Cristo. Infatti:
1.
Nella preparazione dei doni, vengono portati all'altare pane e vino con acqua,
cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2.
Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della
salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3.
Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l'unità dei fedeli, e per
mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore,
allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di
Cristo stesso.
La
preparazione dei doni
49. All'inizio della liturgia eucaristica
si portano all'altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo.
Prima di tutto si prepara l'altare, o mensa del Signore, che è il centro di
tutta la liturgia eucaristica41, ponendovi sopra il corporale, il
purificatoio, il messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.
Poi
si portano le offerte: i fedeli - cosa lodevole - presentano il pane e il vino;
il sacerdote, o il diacono, in luogo opportuno e adatto, li riceve e li depone
sull'altare, recitando le formule prescritte. Quantunque i fedeli non portino
più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia,
tuttavia il rito di presentare questi doni conserva il suo calore e il suo
significato spirituale.
Si
possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per
la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in
luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.
50. Il canto all'offertorio accompagna la
processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando
i doni sono stati deposti sull'altare. Le norme che regolano questo canto sono
le stesse che per il canto d'ingresso (n. 26). L'antifona di offertorio, se non
si canta, viene tralasciata.
51. Si può fare l'incensazione dei doni
posti sull'altare stesso, per significare che l'offerta della Chiesa e la sua
preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l'incensazione dei
doni e dell'altare, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere
l'incensazione dal diacono o da un altro ministro.
52. Quindi il sacerdote si lava le mani;
con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore.
53. Deposte le offerte sull'altare e
compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a
unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l'orazione sulle offerte: si conclude
così la preparazione dei doni e si prelude alla Preghiera eucaristica.
La
Preghiera eucaristica
54.
A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell'intera
celebrazione, vale a dire la Preghiera eucaristica, cioè la preghiera di azione
di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il
cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di grazie, e lo associa a
sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al
Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il significato di questa preghiera è che tutta
l'assemblea si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio
e nell'offrire il sacrificio.
55. Gli elementi principali di cui consta
la Preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue:
a) L'azione di grazie (che si esprime
specialmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo,
glorifica
Dio
Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche suo
aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del
Tempo.
b)
L'acclamazione: tutta l'assemblea,
unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo (Sanctus). Questa
acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è pronunziata da tutto
il popolo col sacerdote.
c)
L'epiclesi: la Chiesa implora con
speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini
vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la
vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di
coloro che vi parteciperanno.
d)
Il racconto dell'istituzione e la
consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il
sacrificio che Cristo stesso istituì nell'ultima Cena, quando offrì il suo Corpo
e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a
bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e)
L'anamnesi: la Chiesa, adempiendo il
comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra la memoria
di Cristo, ricordando soprattutto la sua beata passione, la gloriosa
risurrezione e l'ascensione al ciclo.
f)
Sofferta: nel corso di questa stessa
memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel
luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa
desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino
ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di
Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio
sia tutto in tutti42.
g)
Le intercessioni: in esse si esprime
che l'Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste
che terrestre, e che l'offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi
e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla
salvezza acquistata per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.
h)
La dossologia finale che esprime la
glorificazione di Dio: essa viene ratificata e conclusa con l'acclamazione del
popolo.
La
Preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con rispetto e in silenzio, e
vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.
Riti
di comunione
56.
Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo
il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo
Sangue come cibo spirituale43.
A
questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori che dispongono
immediatamente i fedeli alla comunione.
a)
La preghiera del Signore (o Padre nostro): in essa si chiede il pane quotidiano,
nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane eucaristico, e si
implora la purificazione dei peccati, così che realmente «i santi doni vengano
dati ai santi». Il sacerdote rivolge l'invito alla preghiera, che tutti i fedeli
dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l'embolismo, che il
popolo conclude con la dossologia. L'embolismo, sviluppando l'ultima domanda
della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la
liberazione dal potere del male.
L'invito
(o monizione), la preghiera del Signore, l'embolismo e la dossologia, con la
quale il popolo conclude l'embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.
b)
Segue il rito della pace, con il quale i fedeli implorano la pace e l'unità per
la Chiesa e per l'intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l'amore
vicendevole, prima di partecipare all'unico pane.
Le
Conferenze Episcopali stabiliranno il modo di compiere questo gesto di pace
secondo l'indole e le usanze delle popolazioni.
c)
II gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima Cena, sin dal
tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica. Questo rito non
ha soltanto una ragione pratica, ma significa che noi, pur essendo molti,
diventiamoun solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1
Cor 10, 17).
d)
llimmixtio: il celebrante mette nel
calice una piccola porzione dell'ostia.
e)
Agnello di Dio (Agnus Dei): mentre si compie la frazione del pane e l'immixtio, si canta dalla schola o dal cantore l'invocazione
Agnello di Dio (Agnus Dei), alla quale risponde il popolo; oppure la si dice ad
alta voce. Si può ripetere questa invocazione quante volte è necessario per
accompagnare la frazione del pane. L'ultima invocazione termina con le parole
dona a noi la pace (dona nobis pacem).
f)
La preparazione personale del sacerdote: il celebrante si prepara con una
preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo
stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.
g)
Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà ricevuto
nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime
sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del Vangelo.
h)
Si desidera vivamente che i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie
consacrate nella stessa Messa, e nei casi previsti, facciano la comunione al
calice, perché anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come
partecipazione al sacrificio in atto44.
i)
Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si esegue il canto di comunione;
esso ha lo scopo di esprimere mediante l'accordo delle voci l'unione spirituale
di coloro che si comunicano, dimostrare la gioia del cuore e rendere più
fraterna la processione di coloro che si accostano a ricevere il Corpo di
Cristo. Il canto comincia mentre il sacerdote si comunica, e si protrae per un
certo tempo, durante la comunione dei fedeli. Se però è previsto che dopo la
comunione si eseguisca un inno, il canto di comunione s'interrompa al momento
opportuno. Come canto di comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o
l'antifona col salmo del Graduale
simplex, oppure un altro canto adatto, approvato
dalla
Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo.
Se invece non si canta, l'antifona di comunione proposta dal Messale viene
recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, se no dallo stesso
sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la comunione ai
fedeli.
j)
Ultimata la distribuzione della comunione il sacerdote e i fedeli, secondo
l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Si può anche fare
cantare da tutta l'assemblea un inno, un salmo o un altro canto di lode.
k)
Nell'orazione dopo la comunione, il sacerdote chiede i frutti del mistero
celebrato. Il popolo fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen.
D) RITI DI CONCLUSIONE
57.
I riti di conclusione comprendono:
a)
Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe
circostanze si può arricchire e sviluppare con Iterazione sul popolo» o con
un'altra formula più solenne.
b)
Il congedo propriamente detto, con il quale si scioglie l'assemblea, perché
ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore.
Capitolo
III
UFFICI
E MINISTERI NELLA MESSA
58.
Nell'assemblea, che si riunisce per la Messa, ciascuno ha il diritto e il dovere
di recare la sua partecipazione in diversa misura a seconda della diversità di
ordine e di compiti45. Pertanto tutti, sia i ministri che i fedeli,
compiendo il proprio ufficio, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro
competenza46: così che la stessa disposizione della celebrazione
manifesti la Chiesa costituita nei suoi diversi ordini e ministeri.
I.
Uffici e ministeri dell'Ordine sacro
59. Ogni legittima celebrazione
dell'Eucaristia è diretta dal vescovo, o personalmente, o per mezzo dei
presbiteri suoi collaboratori47. Quando il vescovo è presente a una
Messa con partecipazione di popolo, è bene che presieda lui stesso l'assemblea,
e che associ a sé i presbiteri nella celebrazione, per quanto è possibile
concelebrando con loro.
Questo
si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per esprimere
con maggior chiarezza il mistero della Chiesa, sacramento di
unità48.
Se
il vescovo non celebra l'Eucaristia, ma ne affida il compito a un presbitero, è
bene che sia lui a presiedere la liturgia della Parola e a impartire la
benedizione alla fine della Messa.
60. Anche il sacerdote che nella comunità
dei fedeli è insignito del potere derivategli dall'Ordine sacro di offrire il
sacrificio nella persona di Cristo49, presiede l'assemblea riunita,
ne dirige la preghiera, annuncia a essa il messaggio della salvezza, si associa
il popolo nell'offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito
Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e partecipa con essi
al banchetto. Pertanto, quando celebra l'Eucaristia, deve servire Dio e il
popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le
parole divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo.
61. Tra i ministri ha il primo posto il
diacono, il cui ordine già dagli inizi della Chiesa fu tenuto in grande onore.
Nella Messa il diacono ha come ufficio proprio: l'annunciare il Vangelo e
talvolta predicare la parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della
preghiera universale, servire il sacerdote, distribuire ai fedeli l'Eucaristia,
specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare all'assemblea i
gesti e gli atteggiamenti da assumere.
II. Ufficio e compito del popolo di Dio
62. Nella celebrazione della Messa i
fedeli formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio
regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto per
le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e imparare a offrire se
stessi50. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo
senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa
celebrazione. Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione,
tenendo presente che hanno un unico Padre nei cicli, e che perciò tutti sono tra
loro fratelli.
Formino
invece un solo corpo, sia nell'ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere
parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del
sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità
appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli
compiono tutti insieme.
I
fedeli non rifiutino di servire con gioia l'assemblea del popolo di Dio, ogni
volta che sono pregati di prestare qualche servizio particolare nella
celebrazione.
63. Tra i fedeli esercita un proprio
ufficio liturgico la schola cantorum
o "coro", il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le son
proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva
dei fedeli nel canto51. Quello che si dice della schola cantorum vale anche, con gli
opportuni adattamenti, per gli altri musicisti, specialmente per
l'organista.
64.
E opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il
canto del popolo. Anzi, mancando la schola, è compito del cantore guidare i
diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli
spetta52.
III.
Uffici particolari
65.
L'accolito è istituito per curare il servizio all'altare e aiutare il sacerdote
e il diacono. A lui spetta specialmente preparare l'altare e i vasi sacri, e,
come ministro straordinario, distribuire l'Eucaristia ai fedeli.
66.
Il lettore è istituito per proclamare le letture della sacra Scrittura, eccetto
il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in
mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale.
Il
lettore nella celebrazione eucaristica ha un suo ufficio proprio, che deve
esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore.
Perché
i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo
amore della sacra Scrittura53, è necessario che i lettori incaricati
di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l'istituzione, siano veramente
idonei e preparati con impegno.
67.
È compito del salmista proclamare il salmo, o il canto biblico, tra le letture.
Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario che il salmista
possegga l'arte del salmodiare e abbia una buona pronuncia e una buona
dizione.
68.
Quanto agli altri ministri, alcuni svolgono determinate funzioni in presbiterio,
altri fuori del presbiterio. Fra i primi si annoverano coloro ai quali è stato
affidato il compito di distribuire, in qualità di ministri straordinari, la
santa comunione54, come pure coloro che portano il messale, la croce,
i ceri, il pane, il vino, l'acqua e il turibolo. Fra gli altri ci sono:
a)
Il commentatore, che rivolge ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli
nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla e seguirla. Gli interventi
del commentatore siano preparati con cura, siano chiari e sobri. Nel compiere il
suo ufficio, il commentatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, ma non
sale all'ambone.
b)
Coloro che, in alcune regioni, accolgono i fedeli alla porta della chiesa e li
dispongono ai propri posti, e ordinano i movimenti processionali dei fedeli.
c)
Coloro che raccolgono le offerte in chiesa.
69.
E bene che, soprattutto nelle grandi chiese e nelle comunità importanti, vi sia
qualcuno incaricato di predisporre con cura le celebrazioni, e di preparare i
ministri a compierle con decoro, ordine e devozione.
70.
Tutti i ministeri inferiori a quelli propri del diacono, possono essere
esercitati da uomini laici, anche se non ne hanno ricevuta l'istituzione.
Gli
uffici che si compiono fuori del presbiterio, possono essere affidati anche alle
donne, secondo il prudente giudizio del rettore della chiesa.
Tuttavia
la Conferenza Episcopale può permettere che anche una donna ben preparata
proclami le letture che precedono il Vangelo e proponga le intenzioni della
preghiera universale; spetta poi alla stessa Conferenza precisare il luogo
adatto dal quale le donne possono annunciare la parola di Dio nell'assemblea
liturgica55.
71.
Se sono presenti più persone che possono esercitare lo stesso ministero, nulla
impedisce che si distribuiscano tra loro le varie parti di uno stesso ministero
e ciascuno svolga la sua. Per esempio, un diacono può essere incaricato delle
parti in canto, e un altro del servizio all'altare; se vi sono più letture,
converrà distribuirle tra più lettori, e così via.
72.
Se nella Messa con partecipazione di popolo vi è un solo ministro, egli può
compiere diversi uffici.
73.
La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune
intesa fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale,
pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa, e sentito
anche il parere dei fedeli per quelle cose che li riguardano direttamente.
Capitolo
IV
DIVERSE
FORME DI CELEBRAZIONE DELLA MESSA
74.
Nella Chiesa locale si deve dare il primo posto - lo richiede il suo significato
- alla Messa cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai
ministri56 con la partecipazione piena e attiva del popolo santo di
Dio. Si ha qui infatti una speciale manifestazione della Chiesa.
75.
Grande importanza si deve dare anche alla Messa celebrata con una comunità,
specialmente parrocchiale; essa, infatti, soprattutto nella celebrazione
comunitaria della domenica, manifesta la Chiesa universale in un momento e in un
luogo determinato57.
76.
Tra le Messe celebrate da determinate comunità, particolare importanza ha la
Messa conventuale, che è parte dell'Ufficio quotidiano, come pure la Messa della
"comunità". E sebbene queste Messe non comportino nessuna forma particolare di
celebrazione, tuttavia è quanto mai conveniente che siano celebrate con il
canto, e soprattutto con la piena partecipazione di tutti i membri della
comunità, sia di religiosi che di canonici. In queste Messe perciò ognuno
eserciti la sua funzione secondo l'Ordine o il ministero ricevuto. Anzi,
conviene che tutti i sacerdoti non tenuti a celebrare individualmente per
l'utilità pastorale dei fedeli, per quanto è possibile concelebrino in queste
Messe. Inoltre tutti i sacerdoti membri della comunità, tenuti a celebrare
individualmente per il bene pastorale dei fedeli, possono, nello stesso giorno,
concelebrare anche la Messa conventuale o di comunità58.
I.
Messa con il popolo
77.
Per «Messa con il popolo» si intende quella celebrata con la partecipazione dei
fedeli. Conviene, per quanto è possibile,
78.
È bene che un accolito, un lettore e un cantore assistano, di solito, il
sacerdote celebrante; è questa la forma «tipica», come verrà chiamata negli
articoli seguenti. Però il rito qui descritto prevede la possibilità di usare un
numero anche maggiore di ministri.
A
qualsiasi forma di celebrazione può prendere parte un diacono, che svolge
l'ufficio a lui proprio.
Cose
da preparare
79.
L'altare sia ricoperto da almeno una tovaglia. Sull'altare, vicino a esso, si
pongano almeno due, anche quattro, o sei candelieri con i ceri accesi; se
celebra il vescovo della diocesi, i candelieri saranno sette. Inoltre,
sull'altare, o vicino a esso, si collochi la croce. I candelieri e la croce si
possono portare nella processione di ingresso. Sopra l'altare si può collocare
il libro dei Vangeli, distinto dal libro delle altre letture, a meno che non
venga portato nella processione di ingresso.
80.
Si preparino pure:
a)
accanto alla sede del sacerdote: il messale e, se necessario, il libro dei
canti;
b)
sull'ambone: il lezionario;
e)
sopra la credenza: il calice, il corporale, il purificatoio e, secondo
l'opportunità, la palla; la patena e le pissidi, se occorrono, con il pane per
la comunione del sacerdote, dei ministri e del popolo; le ampolle con il vino e
l'acqua, a meno che tutte queste cose non vengano presentate dai fedeli
all'offertorio; il piattello per la comunione dei fedeli; inoltre il necessario
per lavarsi le mani. Il calice sia ricoperto da un velo, che può essere sempre
di colore bianco.
81.
In sacrestia, si preparino, secondo le varie forme di celebrazione, le vesti
sacre del sacerdote e dei ministri:
a)
per il sacerdote: camice, stola e casula;
b)
per il diacono: camice, stola e dalmatica; in caso però di necessità o di minor
solennità la dalmatica si può omettere; e) per gli altri ministri: camice o
altre vesti legittimamente approvate.
Tutti
coloro che indossano il camice usino il cingolo e l'amitto, a meno che non si
provveda diversamente.
A)
FORMA TIPICA
Riti
di introduzione
82.
Quando il popolo si è riunito, il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti
sacre, si avviano all'altare, in quest'ordine:
a)
il ministro con il turibolo fumigante, se si usa l'incenso;
b)
i ministri che, secondo l'opportunità, portano i candelieri con i ceri accesi;
in mezzo a loro, eventualmente, un altro ministro con la croce;
c)
gli accoliti e gli altri ministri;
d)
il lettore, che può portare il libro dei Vangeli;
e)
il sacerdote celebrante.
Se
si usa l'incenso, prima di incamminarsi il sacerdote pone l'incenso nel
turibolo.
83.
Durante la processione all'altare, si esegue il canto d'ingresso (cf nn.
25-26).
84.
Arrivati all'altare, il sacerdote e i ministri fanno la debita riverenza:
inchino profondo oppure, se vi è il tabernacolo con il Santissimo Sacramento,
genuflessione. La croce portata in processione viene collocata presso l'altare,
o in altro luogo adatto; i candelieri portati dai ministri si depongono accanto
all'altare o sopra la credenza; il libro dei Vangeli viene posto
sull'altare.
85.
Il sacerdote sale all'altare e lo bacia in segno di venerazione. Poi, secondo
l'opportunità, lo incensa tutto intorno.
86.
Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto d'ingresso,
tutti in piedi, sacerdote e fedeli, fanno il segno della croce. Il sacerdote
dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (In nomine Patris et
Filii et Spiritus Sancti); il popolo risponde: Amen. Poi, rivolto al popolo, e
allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle formule proposte.
Egli stesso, o un altro ministro idoneo può fare una breve introduzione alla
Messa del giorno.
87.
Dopo l'atto penitenziale, si dicono il Kyrie eleison e il Gloria, secondo le
rubriche (nn. 30-31). Il Gloria può essere iniziato o dallo stesso celebrante, o
dai cantori, o anche da tutti insieme.
88.
Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte:
Preghiamo (Oremus). E tutti insieme con il sacerdote pregano, per breve tempo,
in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, dice la colletta; al
termine di questa, il popolo acclama: Amen.
Liturgia
della Parola
89.
Terminata l'orazione, il lettore si reca all'ambone e proclama la prima lettura;
tutti l'ascoltano seduti, e alla fine rispondono con l'acclamazione.
90.
Dopo la lettura, il salmista o il cantore, o lo stesso lettore, canta o legge il
salmo; il popolo vi prende parte con il ritornello (cf n. 36).
91.
Poi, se c'è una seconda lettura prima del Vangelo, il lettore la proclama
all'ambone, come si è detto sopra; tutti siedono e stanno in ascolto, e alla
fine rispondono con l'acclamazione.
92.
Segue l'Alleluia o un altro canto, secondo il tempo liturgico (cf nn.
37-39).
93.
Mentre si canta l'Alleluia o un altro canto, se si usa l'incenso, il sacerdote
lo mette nel turibolo. Quindi, a mani giunte, e inchinato davanti all'altare,
dice sottovoce il Purifica il mio cuore (Munda cor meum).
94. Poi se il libro dei Vangeli è
sull'altare, lo prende e, preceduto dai ministri, che possono portare l'incenso
e i ceri, si reca all'ambone.
95. All'ambone il sacerdote apre il libro
e dice: II Signore sia con voi (Dominus vobiscum), e quindi: Dal Vangelo secondo
N., (Lectio sancti Evangelii secundum N.), tracciando con il pollice il segno di
croce sul libro e sulla propria persona, in fronte, sulla bocca e sul petto.
Poi, se si usa il turibolo, incensa il libro. Dopo l'acclamazione del popolo, il
sacerdote legge ad alta voce il Vangelo. Terminata la lettura, bacia il libro,
dicendo sottovoce: La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati (Per
evangelica dieta deleantur nostra delicta). Al Vangelo segue l'acclamazione del
popolo secondo l'uso della regione.
96. Quando manca il lettore, il sacerdote
stesso proclama tutte le letture e, se necessario, anche i canti interlezionali,
stando all'ambone. Quivi, se lo si usa, pone l'incenso nel turibolo e dice,
inchinandosi, il Purifica il mio cuore (Munda cor meum).
97. L'omelia si tiene alla sede o
all'ambone.
98.
Il Simbolo (Credo) viene detto dal sacerdote insieme con il popolo (cf n. 44).
Nel dire le parole: E per opera dello Spirito Santo... e si è fatto uomo (Et
incarnatus est de Spiritu Sancto... et homo factus est), tutti si inchinano;
nelle feste dell'Annunciazione (25 marzo) e del Natale del Signore (25 dicembre)
tutti genuflettono.
99. Poi si dice la preghiera universale o
preghiera dei fedeli; il sacerdote la dirige dalla sede o dall'ambone; il popolo
vi partecipa nella parte che gli spetta (cf nn. 45-47).
Liturgia
eucaristica
100. Dopo la preghiera dei fedeli, ha
inizio il canto di offertorio (cf n. 50), mentre i ministri collocano
sull'altare il corporale, il purificatoio, il calice e il messale.
101. Sarà bene che la partecipazione dei
fedeli si manifesti con l'offerta sia del pane e del vino per la celebrazione
dell'Eucaristia, sia di altri doni, per le necessità della Chiesa e dei
poveri.
Le
offerte dei fedeli sono opportunamente ricevute dal sacerdote aiutato dai
ministri e deposte in luogo adatto; invece il pane e il vino per l'Eucaristia si
portano all'altare.
102. All'altare il sacerdote riceve dal
ministro la patena con il pane, e tenendola con entrambe le mani un po'
sollevata sull'altare, recita la formula prescritta; quindi depone la patena con
il pane sopra il corporale.
103. Poi, stando a lato dell'altare, riceve
dal ministro l'ampollina, e versa il vino e un po' d'acqua nel calice, dicendo
sottovoce la formula prescritta. Ritornato al centro dell'altare, prende il
calice e tenendolo un po' sollevato con entrambe le mani, dice la formula
prescritta; quindi depone il calice sul corporale e, se occorre, lo copre con la
palla.
104. Infine, inchinandosi, dice sottovoce:
Umili e pentiti (In spiritu humilitatis).
105. Secondo l'opportunità, il sacerdote
incensa quindi le offerte e l'altare; a sua volta il ministro incensa il
celebrante e il popolo.
106. Dopo la preghiera Umili e pentiti (In
spiritu humilitatis) oppure dopo l'incensazione, il sacerdote, stando a lato
dell'altare, si lava le mani con l'acqua versatagli dal ministro, dicendo
sottovoce la formula prescritta.
107. Ritornato al centro dell'altare,
rivolto al popolo, lo invita, anche con il gesto delle mani (allargandole e
ricongiungendole) a pregare, dicendo: Pregate, fratelli (Orate fratres). Dopo la
risposta del popolo, dice con le braccia allargate, l'orazione sopra le offerte;
al termine il popolo acclama: Amen.
108. Quindi il sacerdote inizia la
Preghiera eucaristica. Allargando le braccia dice: II Signore sia con voi
(Dominus vobiscum), prosegue dicendo: In alto i nostri cuori (Sursum corda) e
intanto innalza le mani; poi, con le braccia aperte, soggiunge: Rendiamo grazie
al Signore, nostro Dio (Gratias agamus Domino Deo nostro). Dopo che il popolo ha
risposto: E cosa buona e giusta (Dignum et iustum est), il sacerdote continua il
prefazio; e, al termine di esso, a mani giunte, canta o dice ad alta voce
insieme con i ministri e il popolo: Santo, santo, santo... (Sanctus...) (cf n.
55 b).
109.
Il sacerdote prosegue la Preghiera eucaristica, secondo le rubriche indicate in
ogni formulario della Preghiera stessa. Se il sacerdote celebrante è un vescovo,
dopo le parole: con il tuo servo il nostro Papa N. (cum famulo tuo Papa nostro
N.) soggiunge: con me, indegno tuo servo (et me indigno servo tuo). L'Ordinario
del luogo si deve nominare con questa formula: con il tuo servo il nostro Papa
N. e il nostro vescovo (o vicario, prelato, prefetto, abate) (cum famulo tuo
Papa nostro N. et Episcopo nostro vel vicario, prelato, praefecto, abbate). Si
possono nominare nella Preghiera eucaristica anche i vescovi coadiutori e
ausiliari. Quando si dovessero fare più nomi, si dice con formula generale: e
con il nostro vescovo N. e i vescovi suoi collaboratori (cum Episcopo nostro N.
et Episcopis cooperatoribus eius)60. In ogni Preghiera eucaristica
tali formule si devono adattare, secondo le esigenze grammaticali. Poco prima
della consacrazione, il ministro avverte, se ne è il caso, i fedeli con un segno
di campanello. Così pure suona il campanello alla presentazione al popolo
dell'ostia consacrata e del calice secondo le consuetudini locali.
110.
Dopo la dossologia, che conclude la Preghiera eucaristica, il sacerdote, a mani
giunte, dice la monizione che precede l'orazione del Signore e recita poi il
Padre nostro (Pater noster) a braccia allargate, insieme con il popolo.
111.
Al termine del Padre nostro (Pater noster) il sacerdote, sempre con le braccia
aperte, dice da solo l'embolismo: Liberaci, o Signore (Libera nos), dopo il
quale il popolo acclama: Tuo è il regno (Quia tuum est regnum).
112. Quindi il sacerdote, ad alta voce,
dice la preghiera: Signore Gesù Cristo (Domine Iesu Christe), poi, con il gesto
delle mani (allargandole e ricongiungendole), annuncia la pace, dicendo: La pace
del Signore sia sempre con voi (Pax Domini sit semper vobiscum). Il popolo
risponde: E con il tuo
113. Il sacerdote prende l'ostia, la spezza
sopra la patena e ne mette una particella nel calice, dicendo sottovoce: II
Corpo... uniti in questo calice (Haec commixtio). Intanto la schola e il popolo cantano o dicono:
Agnello di Dio (Agnus Dei) (cf n. 56e).
114. Quindi il sacerdote dice sottovoce la
preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo (Domine Iesu Christe, Fili
Dei vivi), oppure: La comunione con il tuo Corpo (Perceptio Corporis et
Sanguinis).
115.
Terminata la preghiera, genuflette, prende l'ostia e, tenendola alquanto
sollevata sopra la patena, rivolto al popolo dice: Beati gli invitati... Ecco
l'Agnello di Dio (Beati... Ecce Agnus Dei), e, insieme con il popolo, prosegue:
O Signore, non sono degno (Domine non sum dignus), una sola volta.
116. Poi, rivolto all'altare, il sacerdote
dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna (Corpus
Christi custodiat me in vitam aeternam), e con riverenza si ciba del Corpo di
Cristo. Quindi prende il calice, dicendo: Il Sangue di Cristo mi custodisca per
la vita eterna (Sanguis Christi custodiat me in vitam aeternam), e con riverenza
beve il Sangue di Cristo.
117. Prende poi la patena o la pisside e si
porta verso i comunicandi. Se la comunione si fa sotto la sola specie del pane,
eleva alquanto l'ostia e la presenta a ciascuno di essi dicendo: Il Corpo di
Cristo (Corpus Christi). Questi risponde: Amen, e tenendo il piattello sotto il
mento, riceve il sacramento.
118. Per la comunione sotto le due specie,
si segue il rito descritto più oltre (cf nn. 240-252).
119.
Mentre il sacerdote si comunica, si inizia il canto di comunione (cf n. 56i).
120.
Terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote ritorna all'altare e
raccoglie i frammenti, se ce ne fossero; poi, stando a lato dell'altare o alla
credenza, purifica la patena o la pisside sopra il calice, purifica poi il
calice dicendo sottovoce: II sacramento ricevuto (Quod ore sumpsimus), e lo
asterge con il purificatoio. Se i vasi sacri sono stati astersi all'altare, il
ministro li porta alla credenza.
I
vasi sacri da purificare, soprattutto se fossero molti, si possono anche
lasciare, opportunamente ricoperti, sull'altare o alla credenza, sopra il
corporale; la purificazione si compie dopo la Messa, una volta congedato il
popolo.
121.
Compiute le purificazioni, il sacerdote può ritornare alla sede. Si può
osservare, per un tempo conveniente, un sacro silenzio oppure eseguire un canto
di lode o un salmo (cf n. 56j).
122.
Poi, alla sede o all'altare, il sacerdote, rivolto al popolo, dice: Preghiamo
(Oremus), e, a braccia allargate, dice l'orazione dopo la comunione, alla quale
può premettere una breve pausa di silenzio, a meno che sia già stato osservato
subito dopo la comunione. Al termine dell'orazione il popolo acclama: Amen.
Riti
di conclusione
123.
Detta l'orazione dopo la comunione, si possono dare, se occorre, brevi
comunicazioni (o avvisi) al popolo.
124.
Poi il sacerdote, con il suo consueto gesto delle mani, saluta il popolo,
dicendo: Il Signore sia con voi (Dominus vobiscum); a cui si risponde: E con il
tuo spirito (Et cum spiritu tuo). E subito il sacerdote soggiunge: Vi benedica
Dio onnipotente (Benedicat vos omnipotens Deus), e tracciando con la mano destra
il segno della croce verso i fedeli, prosegue: Padre e Figlio e Spirito Santo
(Pater et Filius et Spiritus Sanctus). Il popolo risponde: Amen.
In
giorni e circostanze particolari, a questa formula di benedizione si premette,
secondo le rubriche, un'altra formula, più solenne, oppure la «orazione sul
popolo».
Subito
dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge: La Messa è finita:
andate in pace (ite Missa est); e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio (Deo
gratias).
125.
Infine il sacerdote bacia l'altare in segno di venerazione. Poi, fatta con i
ministri la debita riverenza, si ritira.
126.
Se alla Messa seguisse un'altra azione liturgica, si tralasciano i riti di
conclusione, cioè il saluto, la benedizione e il congedo.
B)
MINISTERI DEL DIACONO
127.
Se vi è un diacono nell'esercizio del suo ministero, Si osservano le norme
indicate nel paragrafo precedente, eccetto quanto segue. In genere il
diacono:
a)
sta accanto al sacerdote e lo aiuta;
b)
all'altare, svolge il suo servizio al calice e al libro;
c)
se non è presente nessun altro ministro, egli stesso compie secondo le necessità
gli uffici degli altri ministri.
Riti
di introduzione
128.
Il diacono, rivestito delle vesti sacre, e portando il libro dei Vangeli,
precede il sacerdote nella processione verso l'altare, altrimenti sta al suo
fianco.
129.
Fatta insieme con il sacerdote la debita riverenza all'altare, il diacono vi
sale con lui. Depone sulla mensa il libro dei Vangeli e insieme con il sacerdote
bacia l'altare in segno di venerazione. Quindi, se si usa l'incenso, assiste il
sacerdote nell'infusione dell'incenso nel turibolo e nella incensazione
dell'altare.
130.
Incensato l'altare, insieme con il sacerdote si reca alla sede; qui rimane
accanto al sacerdote, prestandogli servizio secondo le necessità.
Liturgia
della Parola
131.
Mentre si canta l'Alleluia o un altro canto, se si usa il tuo aiuta il sacerdote
nell'infusione dell'incenso, quindi, inchinandosi dinanzi al sacerdote, chiede
la benedizione dicendo a bassa voce: Benedicimi, o padre (Iube, domne,
benedicere). Il sacerdote lo benedice con la formula: Il Signore sia nel tuo
cuore (Dominus sit in corde tuo). Il diacono risponde: Amen, Poi, se il libro
dei Vangeli si trova sull'altare, lo prende e va all'ambone: lo precedono, se vi
sono, i ministri con i candelieri, e con l'incenso, secondo l'opportunità. Qui
saluta il popolo, incensa il libro e proclama il Vangelo. Terminata la lettura,
bacia il libro in segno di venerazione, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo
(Per evangelica dieta), e ritorna presso il sacerdote. Se invece non si tiene
l'omelia né si dice il Credo, può rimanere all'ambone per la preghiera dei
fedeli, mentre i ministri ritornano al loro posto.
132.
Alla preghiera dei fedeli, dopo l'introduzione del sacerdote, il diacono propone
le varie intenzioni, stando all'ambone o in altro luogo adatto.
Liturgia
eucaristica
133.
All'offertorio, mentre il sacerdote rimane seduto alla sede, il diacono prepara
l'altare con l'aiuto degli altri ministri; spetta a lui la cura dei vasi sacri.
Sta accanto al sacerdote e lo aiuta nel ricevere i doni del popolo. Presenta al
sacerdote la patena con il pane da consacrare; versa il vino e un po' d'acqua
nel calice dicendo sottovoce: L'acqua unita al vino (Per huius aquae), e lo
presenta poi al sacerdote. Però la preparazione del calice, cioè l'infusione del
vino e dell'acqua, la può fare alla credenza. Se si usa l'incenso, assiste il
sacerdote nell'incensazione delle offerte e dell'altare, poi lui stesso, o un
altro ministro, incensa il sacerdote e il popolo.
134.
Durante la Preghiera eucaristica, il diacono sta accanto al sacerdote, ma un po'
indietro, per attendere, quando occorre, al calice e al messale.
135.
Alla dossologia finale della Preghiera eucaristica, stando accanto al sacerdote,
tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la patena con l'ostia,
finché il popolo non abbia acclamato l'Amen.
136.
Dopo che il sacerdote ha detto la preghiera per la pace e rivolto l'augurio: La
pace del Signore sia sempre con voi (Pax Domini sit semper vobiscum), al quale
il popolo risponde: E con il tuo spirito (Et cum spiritu tuo), il diacono,
secondo l'opportunità, invita a darsi scambievolmente la pace, dicendo:
Scambiatevi un segno di pace (Offerte vobis pacem). Riceve dal sacerdote la
pace, e la può dare agli altri ministri più vicini.
137.
Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la comunione sotto le
due specie, quindi aiuta il sacerdote a distribuire la comunione al popolo. Se
la comunione viene data sotto le due specie, porge il calice ai singoli, e beve
al calice per ultimo.
138.
Compiuta la distribuzione della comunione, il diacono con il sacerdote ritorna
all'altare, raccoglie i frammenti, se ve ne fossero, quindi porta alla credenza
il calice e gli altri vasi sacri, che purifica e riordina, come di norma, mentre
il sacerdote ritorna alla sede.
I
vasi sacri da purificare si possono anche lasciare opportunamente ricoperti alla
credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie dopo la Messa, una
volta congedato il popolo.
Riti
di conclusione
139.
Detta l'orazione dopo la comunione, il diacono da brevemente al popolo le
eventuali comunicazioni (o avvisi), a meno che il sacerdote preferisca darli
personalmente.
140.
Dopo la benedizione del sacerdote, il diacono congeda il popolo dicendo: La
Messa è finita: andate in pace (Ite, Missa est).
141.
Quindi, insieme con il sacerdote, bacia l'altare in segno di venerazione e,
fatta la debita riverenza, ritorna con lui allo stesso modo come era
venuto.
C)
COMPITI DELL'ACCOLITO
142.
Gli uffici che l'accolito può svolgere sono di vario genere, e molti di essi si
possono presentare insieme. Conviene distribuire i vari compiti tra più
accoliti; se però è presente un solo accolito, svolga lui stesso gli uffici più
importanti, e gli altri vengano distribuiti tra i vari ministri.
Riti
iniziali
143.
Nel rito d'ingresso, l'accolito può portare la croce, affiancato da due
ministranti con i ceri accesi. Giunto all'altare, depone la croce presso
l'altare stesso e va al suo posto in presbiterio.
144. Durante la celebrazione, è compito
dell'accolito accostarsi, all'occorrenza, al sacerdote o al diacono per
presentar loro il libro o per aiutarli in tutto ciò che è necessario. Conviene
pertanto che, per quanto possibile, occupi un posto dal quale possa svolgere
comodamente il suo compito, sia alla sede che all'altare.
Liturgia
eucaristica
145.
In assenza del diacono, terminata la preghiera universale, mentre il sacerdote
rimane alla sede, l'accolito dispone sull'altare il corporale, il purificatoio,
il calice e il messale. Quindi aiuta, se necessario, il sacerdote nel ricevere i
doni del popolo e, secondo l'opportunità, porta all'altare il pane e il vino e
li presenta al sacerdote. Se si usa l'incenso, presenta lui stesso il turibolo
al sacerdote, e lo assiste poi nell'incensazione delle offerte e
dell'altare.
146.
Può, come ministro straordinario, aiutare il sacerdote nella distribuzione della
comunione al popolo61. Se si fa la comunione sotto le due specie,
l'accolito presenta il calice ai comunicandi, o tiene lui stesso il calice, se
la comunione si da per intinzione.
147.
Terminata la distribuzione della comunione, aiuta il sacerdote o il diacono a
purificare e riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono, l'accolito porta i
vasi sacri alla credenza e lì stesso li purifica e li riordina.
D) COMPITI DEL LETTORE
Riti
iniziali
148.
Nel rito d'ingresso, il lettore può, in assenza del diacono, portare il libro
dei Vangeli: in tal caso, procede davanti al sacerdote; se no, sfila con gli
altri ministri.
149.
Giunto all'altare e fatta con il sacerdote la debita riverenza, sale all'altare,
depone su di esso il libro dei Vangeli e va a occupare il suo posto in
presbiterio con gli altri ministri.
Liturgia
della Parola
150.
Proclama all'ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza del
salmista, può anche proclamare il salmo responsoriale dopo la prima
lettura.
151.
In assenza del diacono, dopo l'introduzione del sacerdote, il lettore può
suggerire le intenzioni della preghiera universale.
152.
Se all'ingresso o alla comunione non si fa un canto, e se le antifone indicate
sul Messale non vengono recitate dai fedeli, le dice il lettore al tempo
dovuto.
II.
Messe concelebrate
Premesse
153.
La concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene 1 unità del sacerdozio,
del sacrificio e del popolo di Dio, è prescritta dal rito stesso
nell'ordinazione del vescovo e dei presbiteri, e nella Messa crismale.
È
raccomandata inoltre, a meno che l'utilità dei fedeli non richieda o suggerisca
diversamente, nelle occasioni seguenti:
a)
il Giovedì della Settimana Santa nella Messa vespertina nella Cena del
Signore;
b)
nelle Messe celebrate in occasione di Concili, di raduni di vescovi e di
Sinodi;
c)
nella Messa per la benedizione di un Abate;
d)
nella Messa conventuale e nella Messa principale nelle chiese e negli
oratori;
e)
nelle Messe in occasione di incontri di sacerdoti, siano essi secolari o
religiosi62. ;
154. Quando vi è un numero considerevole di
sacerdoti, il Superiore competente può concedere che la concelebrazione abbia
luogo più volte anche nello stesso giorno, ma in tempi successivi, o in luoghi
sacri diversi63.
155. Spetta al vescovo, a norma del
diritto, regolare la disciplina della concelebrazione nella sua diocesi, anche
nelle chiese e negli oratori dei religiosi esenti64.
156.
Nessuno, mai, venga ammesso a concelebrare a Messa già
iniziata65.
157. Particolare importanza si deve dare a
quella concelebrazione, in cui i sacerdoti di una diocesi concelebrano con il
proprio vescovo, specialmente nella Messa crismale del Giovedì della Settimana
Santa, e in occasione del Sinodo o della visita pastorale. Per lo stesso motivo
si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si radunano
insieme con il proprio vescovo, sia in occasione di esercizi spirituali, sia per
qualche altro convegno. In tali circostanze viene manifestato in modo più
evidente quel segno dell'unità del sacerdozio, come pure della Chiesa stessa,
che è proprio di ogni concelebrazione66.
158.
Per motivi particolari, suggeriti o dal significato del rito o dalla solennità
della festa, è concesso di celebrare o concelebrare più volte nello stesso
giorno nei seguenti casi: a) al Giovedì della Settimana Santa, chi ha celebrato
o concelebrato la Messa crismale, può celebrare o concelebrare anche i la Messa
vespertina nella Cena del Signore;
b)
a Pasqua, chi ha celebrato o concelebrato la prima Messa nella notte può
celebrare o concelebrare la seconda Messa di Pasqua;
c)
nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre
Messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;
d)
chi in occasione del Sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali
concelebra col vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, a giudizio
del vescovo stesso, per l'utilità dei fedeli67. La stessa possibilità
è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni di religiosi con il
proprio Ordinario o con un suo delegato.
159. La Messa concelebrata, in qualunque
forma si svolga, si deve ordinare secondo il rito della Messa celebrata
individualmente, tenute presenti le norme e le varianti qui sotto indicate.
160.
Se alla Messa concelebrata non prendono parte né il diacono, né gli altri
ministri, i compiti loro propri vengono assolti da alcuni concelebranti.
Riti
di introduzione
161.
I sacerdoti concelebranti, in sacrestia o in altro luogo adatto, indossano le
vesti sacre che indossano abitualmente nella celebrazione individuale. Tuttavia
per un ragionevole motivo, come a esempio un numero notevole di concelebranti e
la mancanza di paramenti, i concelebranti, fatta sempre eccezione per il
celebrante principale, possono fare a meno della pianeta o casula, e usare
soltanto la stola sopra il camice.
162. Preparata a dovere ogni cosa, si fa,
come di consueto, la processione attraverso la chiesa fino all'altare. I
sacerdoti concelebranti precedono il celebrante principale.
163.
Giunti all'altare, i sacerdoti concelebranti e il sacerdote celebrante
principale, fanno la debita riverenza, baciano l'altare in segno di venerazione,
quindi si recano al posto loro assegnato.
Il
sacerdote celebrante principale, secondo l'opportunità, incensa l'altare; si
reca poi alla sede.
Liturgia
della Parola
164.
Durante la liturgia della Parola, i sacerdoti concelebranti stanno al loro
posto, e nel sedere e nell'alzarsi si uniformano al sacerdote celebrante
principale.
165. L'omelia è tenuta normalmente dal
sacerdote celebrante principale o da uno dei sacerdoti concelebranti.
Liturgia
eucaristica
166.
I riti di offertorio vengono compiuti dal sacerdote celebrante principale; gli
altri sacerdoti concelebranti restano al loro posto.
167. Al termine dei riti di offertorio, i
sacerdoti concelebranti si avvicinano all'altare disponendosi attorno ad esso,
in modo però da non intralciare lo svolgimento dei riti, e permettere ai fedeli
di vedere bene l'azione sacra, e al diacono di avvicinarsi facilmente all'altare
per svolgere il suo ministero.
Modo
di dire la Preghiera eucaristica
168.
Il prefazio vien detto dal solo sacerdote celebrante principale; il Santo
(Sanctus) viene cantato o recitato da tutti insieme con il popolo e la schola.
169. Terminato il Santo (Sanctus), i
sacerdoti concelebranti proseguono la recita della Preghiera eucaristica, nel
modo indicato più sotto. Soltanto il sacerdote celebrante principale compie i
gesti, salvo indicazioni in contrario.
170.
Nella preghiera eucaristica, le parti da recitarsi in comune devono essere
pronunziate dai sacerdoti concelebranti a voce sommessa, in modo che si
distingua chiaramente la voce del sacerdote celebrante principale. In tal modo
la Preghiera è più facilmente intesa dal popolo.
a)
Preghiera eucaristica I o Canone romano
171.
Il sacerdote celebrante principale da solo, con le braccia allargate, dice il
Padre clementissimo (Te igitur).
172.
Il ricordo dei vivi: Ricordati, Signore (Memento Domine) e il In comunione con
tutta la Chiesa (Communicantes), si possono affidare all'uno o all'altro dei
sacerdoti concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia
allargate e ad alta voce.
173.
Di nuovo il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate,
dice l'Accetta con benevolenza, o Signore (Hanc igitur).
174.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule dal Santifica,
o Dio (Quam oblationem) fino al Ti supplichiamo (Supplices), con queste
modalità:
a)
Santifica, o Dio (Quam oblationem): con le mani stese verso le offerte;
b)
La vigilia della sua passione (Qui pridie) e Dopo la cena (Simili modo): a mani
giunte;
c)
le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se
ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo dell'ostia consacrata e del
calice i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso di essi, e poi si
inchinano profondamente;
d)
In questo sacrificio (Unde et memores) e Volgi sulla nostra offerta (Supra
quae): con le braccia allargate;
e)
Ti supplichiamo, Dio Onnipotente (Supplices): stando inchinati e a mani giunte
fino alle parole: Perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare (ex hac
altaris partecipatione); poi, eretti, i sacerdoti concelebranti fanno il segno
di croce alle parole: scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del ciclo
(omni benedictione cadesti et gratia repleamur).
175.
Il Memento dei morti e Anche a noi, tuoi ministri, peccatori (Nobis quoque
peccatoribus), si possono affidare all'uno o all'altro dei sacerdoti
concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad
alta voce.
176.
Alle parole: Anche a noi, tuoi ministri, peccatori (Nobis quoque peccatoribus),
tutti i sacerdoti concelebranti si battono il petto.
177.
Il sacerdote celebrante principale, da solo, dice: Per Cristo, nostro Signore,
tu, o Dio (Per quem haec omnia).
178.
In questa Preghiera eucaristica, i testi dal Santifica, O Dio (Quam oblationem)
al Ti supplichiamo (Supplices, incluso) come pure la dossologia finale si
possono eseguire in canto.
b)
Preghiera eucaristica II
179.
Il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate dice il
Padre veramente santo (Vere sanctus).
180.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da Santifica
questi doni (Haec ergo dona) fino a Ti preghiamo umilmente (Et supplices), come
segue:
a)
Santifica questi doni (Haec ergo dona): con le mani stese verso le offerte;
b)
Egli offrendosi liberamente (Qui cum passioni) e Dopo la cena (Simili modo): a
mani giunte;
c)
le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se
ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo dell'ostia consacrata e del
calice i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso di essi, e poi si
inchinano profondamente;
d)
Celebrando il memoriale (Memores igitur) e Ti preghiamo umilmente (Et
supplices): con le braccia allargate.
181.
Le intercessioni per i vivi: Ricordati, Padre (Recordare, Domine) e per i
defunti: Ricordati dei nostri fratelli (Memento etiam fratrum nostrorum), si
possono affidare all'uno o all'altro dei sacerdoti concelebranti, che recita
queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.
182.
I testi: Egli, offrendosi alla sua passione (Qui cum passioni), Allo stesso modo
(Simili modo), Celebrando il memoriale (Memores igitur), come pure la dossologia
finale di questa Preghiera eucaristica si possono eseguire in canto.
c)
Preghiera eucaristica III
183.
Il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice il
Padre veramente santo (Vere sanctus).
184.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule: Ora ti
preghiamo umilmente (Supplices ergo te, Domine), fino a Guarda con amore
(Respice, quaesumus), come segue:
a)
Ora ti preghiamo umilmente (Supplices ergo te, Domine): con le mani stese verso
le offerte;
b)
Nella notte in cui fu tradito (Ipse enim in qua nocte tradebatur) e Dopo la cena
(Simili modo): a mani giunte;
c)
le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se
ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo dell'ostia consacrata e del
calice i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso di essi e poi si
inchinano profondamente;
d)
Celebrando il memoriale (Memores igitur) e Guarda con amore (Respice,
quaesumus): con le braccia allargate.
185.
Le intercessioni: Egli faccia di noi (Ipse nos) e Per questa vittima della
nostra riconciliazione (Haec hostia nostrae reconciliationis) si possono
affidare all'uno o all'altro dei sacerdoti concelebranti, che recita queste
parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.
186.
I testi: Nella notte (Ipse enim), Dopo la cena allo stesso modo (Simili modo)
Celebrando il memoriale (Memores igitur), come pure la dossologia finale di
questa Preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.
d)
Preghiera eucaristica IV
187.
Il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice: Noi
ti lodiamo, Padre santo (Confitemur tibi, Pater sancte), fino a: E compiere ogni
santificazione (Omnem sanctificationem compleret).
188.
Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da: Ora ti
preghiamo, Padre (Quaesumus igitur, Domine), fino a Guarda con amore (Respice,
Domine), come segue:
a)
Ora ti preghiamo, Padre (Quaesumus igitur, Domine): con le mani stese verso le
offerte;
b)
Egli, venuta l'ora (Ipse enim, cum bora venisset), Allo stesso modo (Simili
modo): a mani giunte;
c)
le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se
ciò sembra opportuno; alla presentazione al popolo dell'ostia consacrata e del
calice, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso di essi, e poi si
inchinano profondamente;
d)
In questo memoriale (Unde et nos) e Guarda con amore (Respice, Domine): con le
braccia allargate.
189. Le intercessioni: Ora, Padre,
ricordati (Nunc ergo, Domine) si possono affidare a uno dei sacerdoti
concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad
alta voce.
190.
I testi: Egli, venuta l'ora (Ipse enim), Allo stesso modo (Simili modo), In
questo memoriale (Unde et nos), come pure la dossologia finale di questa
Preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.
Dossologia
finale
191.
La dossologia finale della Preghiera eucaristica viene recitata dal solo
celebrante principale, oppure da tutti i concelebranti insieme con lui.
Riti
di comunione
192.
Quindi il sacerdote celebrante principale dice, a mani giunte, la monizione
prima della preghiera del Signore poi, con le braccia allargate, recita il Padre
nostro (Pater noster) insieme con gli altri sacerdoti concelebranti e con il
popolo.
193.
Il sacerdote celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, prosegue:
Liberaci, o Signore, da tutti i mali (Libera, nos). Al termine, tutti i
sacerdoti concelebranti insieme con il popolo acclamano: Tuo è il regno (Quia
tuum est regnum).
194.
Dopo l'invito del diacono o di uno dei sacerdoti concelebranti: Scambiatevi un
segno di pace (Offerte vobis pacem), tutti si scambiano tra loro la pace. Coloro
che sono più vicini al sacerdote celebrante principale ricevono da lui la pace
prima del diacono.
195.
Mentre si canta o si dice l'Agnello di Dio (Agnus Dei), alcuni dei sacerdoti
concelebranti possono aiutare il sacerdote celebrante principale nello spezzare
le ostie per la comunione dei sacerdoti concelebranti e del popolo.
196. Compiuta la immixtio, soltanto il sacerdote
celebrante principale recita sottovoce la preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio
del Dio vivo (Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi) oppure La comunione con il tuo
Corpo e il tuo Sangue (Perceptio Corporis et Sanguinis).
197.
Terminata l'orazione prima della comunione il sacerdote celebrante principale
genuflette e si scosta un poco dall'altare. I sacerdoti concelebranti uno dopo
l'altro si accostano all'altare, genuflettono, prendono con devozione il Corpo
di Cristo e, tenendo la mano sinistra sotto la destra, ritornano al loro posto.
I sacerdoti concelebranti possono anche rimanere al loro posto e prendere il
Corpo di Cristo dalla patena presentata ai singoli dal sacerdote celebrante
principale o da uno o più sacerdoti concelebranti; possono anche passarsi l'un
l'altro la patena.
198.
Poi il sacerdote celebrante principale prende l'ostia e, tenendola un po'
sollevata sopra la patena, rivolto al popolo dice: Beati gli invitati alla cena
del Signore. Ecco l'Agnello di Dio (Beati... Ecce Agnus Dei) e prosegue insieme
con i sacerdoti concelebranti e il popolo, dicendo: O Signore, non sono degno
(Domine, non sum dignus).
199. Quindi il sacerdote celebrante
principale, rivolto verso l'altare, dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi
custodisca per la vita eterna (Corpus Christi custodiat me in vitam aeternam), e
devotamente si comunica al Corpo di Cristo. Allo stesso modo si comunicano i
sacerdoti concelebranti. Dopo di loro il diacono riceve dal sacerdote celebrante
principale il Corpo del Signore.
200. La comunione al Sangue di Cristo si
può fare o bevendo direttamente dal calice, o con la cannuccia o il cucchiaino,
o anche per intinzione.
201. Se si fa la comunione direttamente al
calice, si può fare in uno di questi modi:
a)
Il sacerdote celebrante principale prende il calice, dicendo sottovoce: Il
Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna (Sanguis Christi custodiat me
in vitam aeternam) e beve al calice, che consegna poi al diacono o a un
sacerdote concelebrante; quindi distribuisce la comunione ai fedeli, oppure
ritorna alla sede. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l'altro, oppure a due a
due, se vi sono due calici, si accostano all'altare, bevono al calice e
ritornano al loro posto. Il diacono o un sacerdote concelebrante deterge il
calice con il purificatoio dopo la comunione di ognuno dei sacerdoti
concelebranti.
b)
Il sacerdote celebrante principale, stando in mezzo all'altare, fa la comunione
al Sangue del Signore nel modo consueto.
I
sacerdoti concelebranti possono rimanere al loro posto, e far la comunione al
Sangue del Signore bevendo al calice che viene loro presentato dal diacono o da
uno dei sacerdoti concelebranti; oppure anche passandosi il calice l'un l'altro.
Il labbro del calice viene sempre asterso o da chi lo presenta ai singoli, o da
colui che beve. Dopo essersi comunicato, ognuno ritorna al suo posto.
202. Se la comunione viene fatta con la
cannuccia, si svolge in questo modo:
Il
sacerdote celebrante principale prende la cannuccia, dicendo: Il Sangue di
Cristo mi custodisca per la vita eterna (Sanguis Christi custodiat me in vitam
aeternam), beve il Sangue del Signore e immediatamente purifica la cannuccia
sorseggiando un po' d'acqua da un recipiente a suo tempo collocato sull'altare,
e depone la cannuccia su un'apposita patena. Quindi il diacono, o uno dei
sacerdoti concelebranti, colloca opportunamente il calice o in mezzo all'altare
oppure al lato destro del medesimo, sopra un altro corporale. Vicino al calice
si pone anche un recipiente con l'acqua per la purificazione delle cannucce, e
una patena sopra la quale vengono deposte le cannucce.
I
sacerdoti concelebranti, uno dopo l'altro, si accostano all'altare, prendono la
cannuccia e bevono il Sangue del Signore, quindi purificano la cannuccia
sorseggiando un po' d'acqua e depongono la cannuccia sopra l'apposita
patena.
203. Se la comunione al calice viene fatta
con un cucchiaino, si svolge come la comunione con la cannuccia; Si faccia però
attenzione a deporre, dopo la comunione, il cucchiaino in un apposito recipiente
con acqua che, finita la comunione, l'accolito porta a una credenza, per lavarvi
e asciugarvi tutti i cucchiaini.
204. Per ultimo viene il diacono. Dopo
essersi comunicato al Sangue del Signore, beve il Sangue rimasto; porta poi il
calice alla credenza, dove lui stesso o l'accolito compie la purificazione,
asterge il calice e lo riordina come di consueto.
205. La comunione dei sacerdoti
concelebranti può anche essere ordinata in modo che la comunione al Corpo e,
subito dopo, al Sangue del Signore, venga fatta dai singoli all'altare. In
questo caso, il sacerdote celebrante principale si comunica sotto le due specie,
come quando celebra la Messa da solo, attenendosi tuttavia al rito scelto nei
singoli casi per la comunione al calice: rito al quale devono conformarsi tutti
gli altri sacerdoti concelebranti.
Dopo
che il sacerdote celebrante principale si è comunicato, il calice viene deposto
verso il lato destro dell'altare, sopra un altro corporale. I sacerdoti
concelebranti, uno dopo l'altro, si portano al centro dell'altare, genuflettono
e si comunicano al Corpo del Signore; successivamente, al lato destro
dell'altare, si comunicano al Sangue del Signore, secondo il rito adottato per
la comunione al calice, come è detto sopra. La comunione del diacono e la
purificazione del calice si svolgono secondo le modalità sopra indicate.
206. Se la comunione dei sacerdoti
concelebranti si fa per intinzione, il sacerdote celebrante principale si
comunica al Corpo e al Sangue del Signore nel modo consueto, facendo però
attenzione a lasciare nel calice una quantità sufficiente per la comunione dei
sacerdoti concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei sacerdoti concelebranti,
dispone opportunamente il calice, o in mezzo all'altare o sul lato destro (sopra
un altro corporale) insieme con la patena che contiene le ostie. I sacerdoti
concelebranti, uno dopo l'altro, si accostano all'altare, genuflettono, prendono
l'ostia, la intingono nel calice e, tenendo la patena sotto il mento, si
comunicano; ritornano poi al loro posto, come all'inizio della Messa. Il diacono
riceve la comunione per intinzione da un sacerdote concelebrante e risponde Amen
quando questi dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo (Corpus et Sanguis Christi).
Quindi il diacono, all'altare, beve quanto è rimasto nel calice, poi lo porta
alla credenza dove egli stesso o l'accolito compie la purificazione, asterge il
calice e lo riordina come di consueto.
Riti
di conclusione
207.
Il sacerdote celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo
consueto, mentre i sacerdoti concelebranti rimangono al loro posto.
208.
Prima di allontanarsi, i sacerdoti concelebranti fanno all'altare la debita
riverenza. Il sacerdote celebrante principale bacia l'altare in segno di
venerazione.
III.
Messa senza il popolo
Premesse
209.
Si tratta della Messa celebrata dal sacerdote, con la sola presenza di un
ministro, che gli risponde.
210.
Questa Messa segue in generale il Rito della Messa con il popolo; il ministro
pronunzia eventualmente le parti che spettano al popolo.
211.
Non si celebri la Messa senza la partecipazione di almeno qualche fedele o di un
ministro, se non per un motivo giusto e ragionevole; in questo caso, si
tralasciano tutti i saluti e si omette la benedizione al termine della
Messa.
212.
Prima della Messa si prepara il calice sopra la credenza vicino all'altare,
oppure sull'altare; il messale invece viene collocato al lato sinistro
dell'altare.
Riti
di introduzione
213.
Il sacerdote, dopo la debita riverenza all'altare, fa il segno di croce dicendo:
Nel nome del Padre (In nomine Patris); rivolgendosi al ministro, lo saluta con
una delle formule proposte e, sempre ai piedi dell'altare, compie l'atto
penitenziale.
214.
Sale poi all'altare e lo bacia in segno di venerazione; quindi si porta al
messale, al lato sinistro dell'altare, dove rimane sino al termine della
preghiera universale (o preghiera dei fedeli).
215.
Legge l'antifona d'ingresso e dice il Kyrie, e il Gloria secondo le
rubriche.
216.
Poi, a mani giunte, dice Preghiamo (Oremus) e, dopo una conveniente pausa,
recita, con le braccia allargate, la colletta, al termine della quale il
ministro risponde: Amen.
Liturgia
della Parola
217.
Dopo la colletta, il ministro oppure il sacerdote medesimo legge la prima
lettura e il salmo e, quando si deve dire, la seconda lettura e il versetto
alleluiatico, o un altro canto.
218.
Quindi, rimanendo nello stesso posto, il sacerdote, inchinandosi, recita il
Purifica il mio cuore (Munda cor meum) e legge il Vangelo. Alla fine bacia il
libro in segno di venerazione, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo (Per
evangelica dieta), e il ministro risponde con l'acclamazione.
219.
Il sacerdote recita poi, secondo le rubriche, il Simbolo (Credo) insieme con il
ministro.
220.
Segue la preghiera universale, che si può dire anche in questa Messa. Il
sacerdote formula le intenzioni, e il ministro risponde.
Liturgia
eucaristica
221.
Il ministro depone sull'altare il corporale, il purificatoio e il calice, a meno
che non vi siano già stati posti all'inizio della Messa.
222.
Si depongono pane e vino sull'altare, dopo aver fatto l'infusione dell'acqua,
nel modo indicato nella Messa con il popolo, recitando le formule indicate nel
Rito della Messa. Quindi il sacerdote si lava le mani, stando a lato
dell'altare, mentre il ministro versa l'acqua.
223.
Il sacerdote dice l'orazione sulle offerte e la Preghiera eucaristica
attenendosi ai riti descritti nella Messa con il popolo.
224.
La preghiera del Signore Padre nostro (Pater noster) con il suo embolismo si
recita come nella Messa con il popolo.
225.
Dopo l'acclamazione al termine dell'embolismo, il sacerdote dice la preghiera:
Signore Gesù Cristo, che hai detto (Domine Iesu Christe, qui dixisti); quindi
soggiunge: La pace del Signore sia sempre con voi (Pax Domini sit semper
vobiscum), e il ministro risponde: E con il tuo spirito (Et cum spiritu tuo). Se
lo ritiene opportuno, il sacerdote offre la pace al ministro.
226.
Quindi, mentre dice l'Agnello di Dio (Agnus Dei) insieme con il ministro, il
sacerdote spezza l'ostia sopra la patena. Terminato l'Agnello di Dio (Agnus
Dei), compie l'immixtio dicendo
sottovoce: II Corpo... uniti in questo calice (Haec commixtio).
227.
Dopo l'immixtio, il sacerdote dice la
preghiera Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo (Domine Iesu Christe, Fili
Dei vivi), oppure La comunione con il tuo Corpo (Perceptio Corporis et
Sanguinis); quindi genuflette, prende l'ostia e, se il ministro fa la comunione,
si volta verso di lui: tenendo l'ostia un po' sollevata sopra la patena dice:
Beati... Ecco l'Agnello di Dio (Beati... Ecce Agnus Dei) e recita con lui, una
sola volta: O Signore, non sono degno (Domine, non sum dignus). Rivolto poi
verso l'altare, si comunica al Corpo di Cristo. Se invece il ministro non si
comunica, il sacerdote prende l'ostia e, stando rivolto all'altare, dice, una
volta sola, sottovoce: O Signore, non sono degno (Domine, non sum dignus), e si
comunica al Corpo del Signore. La comunione al Sangue di Cristo si fa nel modo
descritto nel Rito della Messa con il popolo.
228.
Prima di dare la comunione al ministro, il sacerdote legge l'antifona alla
comunione.
229.
La purificazione del calice si fa a lato dell'altare. Poi il calice può essere
portato dal ministro sulla credenza o anche lasciato sull'altare, come
all'inizio.
230.
Dopo aver purificato il calice, il sacerdote può fare una pausa di silenzio; poi
dice l'orazione dopo la comunione.
Riti
di conclusione
231.
I riti di conclusione si svolgono come nella Messa con il popolo; si tralascia
però il congedo: La Messa è finita: andate in pace (Ite, Missa est).
IV.
Alcune norme di carattere generale per tutte le forme di Messa
Venerazione
dell'altare e del libro dei Vangeli
232.
Secondo l'uso tramandato nella Liturgia, la venerazione all'altare e al libro
dei Vangeli si esprime con il bacio. Qualora però questo gesto simbolico non
corrispondesse pienamente alle tradizioni e alla cultura di una determinata
regione, spetta alla Conferenza Episcopale determinare un gesto che sostituisca
il bacio, informandone la Sede Apostolica.
Genuflessione
e inchino
233.
Durante la Messa si fanno tre genuflessioni: dopo la presentazione al popolo
dell'ostia, dopo la presentazione del calice e prima della comunione. Ma se nel
presbiterio ci fosse il tabernacolo con il SS. Sacramento, si genuflette anche
prima e dopo la Messa, e tutte le volte che si passa davanti al
tabernacolo.
234.
Vi sono due specie di inchino: del capo e del corpo:
a)
L'inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone;
al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del santo in onore del quale si
celebra la Messa.
b)
L'inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all'altare, se non vi è
il tabernacolo con il SS. Sacramento; mentre si dicono le preghiere Purifica il
mio cuore (Munda cor meum) e Umili e pentiti (In spiritu humilitatis); nel
Simbolo (Credo) alle parole: E per opera dello Spirito Santo (Et incarnatus
est); nel Canone romano, alle parole: Ti supplichiamo, Dio onnipotente
(Supplices te rogamus). Il diacono compie lo stesso inchino mentre chiede la
benedizione prima di proclamare il Vangelo. Inoltre il sacerdote, alla
consacrazione, si inchina leggermente mentre proferisce le parole del
Signore.
L'incensazione
235. L'uso dell'incenso in qualsiasi forma
di Messa è facoltativo. Si può usare l'incenso:
a)
durante la processione d'ingresso;
b)
all'inizio della Messa, per incensare l'altare;
c)
alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
d)
all'offertorio, per incensare le offerte, l'altare, il sacerdote e il
popolo;
e)
alla presentazione al popolo dell'ostia e del calice dopo la consacrazione.
236. Il sacerdote mette l'incenso nel
turibolo e lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.
L'incensazione dell'altare si svolge in questo modo:
a)
Se l'altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli
intorno.
b)
Se l'altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa passando prima la
parte destra dell'altare, poi la sinistra. La croce, se è sopra l'altare o
accanto a esso, viene incensata prima dell'altare; se invece si trova dietro
l'altare, viene incensata quando il sacerdote le passa davanti.
La
purificazione
237. Ogni volta che qualche frammento di
ostia rimane attaccato alle dita, soprattutto dopo la frazione o dopo la
comunione dei fedeli, il sacerdote asterge le dita sulla patena, oppure, se
necessario, lava le dita stesse. Così pure raccoglie eventuali frammenti fuori
della patena.
238.
I vasi sacri vengono purificati dal sacerdote, dal diacono o dall'accolito
possibilmente alla credenza, dopo la comunione, oppure dopo la Messa. La
purificazione del calice si fa con acqua e vino, oppure soltanto con acqua, che
poi quello che purifica beve. La patena si asterge normalmente con il
purificatoio.
239. Se un'ostia o una particela scivolasse
via, si raccolga con rispetto; se poi si versasse qualche goccia del Sangue del
Signore, si lavi il luogo con acqua, e l'acqua si versi nel sacrario.
La
comunione sotto le due specie
240. La santa comunione esprime con maggior
pienezza la sua forma di segno, se vien fatta sotto le due specie. Risulta
infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più
chiaramente la volontà divina di ratificare la Nuova ed eterna Alleanza nel
Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico
e il convito escatologico nel regno del Padre68.
241.
I pastori d'anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai
fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica
riguardo alla forma della comunione, secondo il Concilio di Trento. In
particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè,
anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in
tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della
comunione, coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna
grazia necessaria alla salvezza69. Inoltre insegnino che
nell'amministrazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il
potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la
venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per l'utilità di coloro che li
ricevono, secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei
luoghi70.
Nello
stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al sacro
rito, nella forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del
banchetto.
242.
Secondo il giudizio dell'Ordinario, e previa una conveniente catechesi, si
concede la comunione al calice nei casi seguenti71:
1.
ai neofiti adulti, nella Messa che segue il loro Battesimo; ai cresimati adulti,
nella Messa della loro Confermazione; ai battezzati che vengono accolti nella
comunione della Chiesa;
2.
agli sposi, nella Messa del loro Matrimonio;
3.
ai diaconi, nella Messa della loro Ordinazione;
4.
alla badessa, nella Messa della sua benedizione; alle vergini, nella Messa della
loro consacrazione; ai professi (di ambo i sessi) e ai loro genitori, parenti e
confratelli nella Messa in cui emettono per la prima volta i voti religiosi, o
li rinnovano, o fanno la professione perpetua;
5.
a coloro che ricevono un ministero, nella Messa della loro istituzione; ai
coadiutori missionari laici, nella Messa in cui sono ufficialmente mandati, e a
quanti altri ricevono durante la Messa una missione da parte della Chiesa;
6.
a un infermo, e a tutti coloro che lo assistono, nell'amministrazione del
Viatico, quando si celebra la Messa nell'abitazione del malato;
7.
al diacono e ai ministri che esercitano il loro ufficio nella Messa;
8.
nella Messa concelebrata:
a)
a tutti coloro che nella concelebrazione stessa svolgono un vero ufficio
liturgico, e a tutti gli alunni dei seminari che vi prendono parte;
b)
nelle loro chiese, anche a tutti i membri degli Istituti che professano i
consigli evangelici; ai membri delle altre Società, che si consacrano a Dio con
i voti religiosi, o una oblazione o una promessa; inoltre a tutti coloro che
vivono giorno e notte nella casa dei membri di quegli Istituti e di quelle
Società;
9.
ai sacerdoti che prendono parte a grandi celebrazioni e non possono celebrare o
concelebrare;
10.
a tutti coloro che prendono parte agli esercizi spirituali, nella Messa che,
durante questi esercizi, viene celebrata per loro, e alla quale essi partecipano
attivamente; a tutti coloro che prendono parte a una riunione pastorale nella
Messa celebrata in forma comunitaria;
11.
alle persone di cui ai nn. 2 e 4, nella Messa del loro giubileo;
12.
al padrino, alla madrina, ai genitori e al coniuge nonché ai catechisti laici
del battezzato adulto, nella Messa della sua iniziazione cristiana;
13.
ai genitori, ai familiari, ai benefattori insigni, che partecipano alla Messa di
un sacerdote novello;
14.
ai membri delle comunità, nella Messa conventuale o di «comunità», a norma del
n. 76.
Inoltre
le Conferenze Episcopali possono stabilire modalità, motivazioni e condizioni in
base alle quali gli Ordinari possano concedere la comunione sotto le due specie
anche in altri casi di grande importanza, per la vita spirituale di una comunità
o di un gruppo di fedeli.
Entro
questi limiti, gli Ordinari possono indicare i casi particolari, a condizione
però che la concessione non sia indiscriminata, che le celebrazioni siano ben
precisate e le esorbitanze diffidate; si dovranno inoltre evitare le occasioni
di un gran numero di comunicandi. I gruppi poi che fruiscono di questa facoltà
siano ben determinati, disciplinati e omogenei.
243.
Per distribuire la comunione sotto le due specie, si devono preparare:
a)
se la comunione al calice si fa con la cannuccia, cannucce d'argento per il
sacerdote e per i singoli comunicandi, inoltre un recipiente con acqua per
purificare le cannucce e una patena per deporvele;
b)
un cucchiaino, se col cucchiaino viene somministrato il Sangue del Signore;
e)
se la comunione sotto le due specie viene distribuita per intinzione, ostie né
troppo sottili né troppo piccole, ma un poco più consistenti del solito perché
si possano convenientemente distribuire, dopo averle intinte parzialmente nel
Sangue del Signore.
1.
Rito della comunione sotto le due specie bevendo direttamente dal calice
244.
Se vi è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito:
a)
Il sacerdote celebrante si comunica al Corpo e al Sangue del Signore come al
solito, facendo in modo che nel calice rimanga una quantità sufficiente per
coloro che riceveranno la comunione; asterge poi l'esterno del calice con il
purificatoio.
b)
II sacerdote consegna al ministro il calice e il purificatoio; prende poi la
patena o la pisside con le ostie; quindi il sacerdote e il ministro del calice
si portano dove possono più comodamente dare la comunione ai fedeli.
c)
I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano
davanti al sacerdote, il quale presenta a ciascuno l'ostia, dicendo: Il Corpo di
Cristo (Corpus Christi); il comunicando risponde: Amen, e riceve dal sacerdote
il Corpo del Signore.
d)
Quindi il comunicando si porta davanti al ministro, il quale, a sua volta, dice:
Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi); il comunicando risponde: Amen, e, per
comodità, egli stesso con le sue mani accosta alle labbra il calice, che gli
viene presentato dal ministro; beve e restituisce al ministro, che asterge con
il purificatoio il labbro esterno del calice.
e)
Terminata la comunione al calice, il ministro depone il calice sull'altare. Il
sacerdote distribuisce la comunione agli altri fedeli che eventualmente la
ricevono sotto una sola specie; e poi torna all'altare, dove egli stesso, o il
ministro, beve il resto del vino consacrato e fa le purificazioni come di
consueto.
245.
Se non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito:
a)
Il sacerdote si comunica al Corpo e al Sangue del Signore come al solito,
facendo in modo che nel calice rimanga una quantità sufficiente per coloro che
riceveranno la comunione; asterge poi l'esterno del calice con il
purificatoio.
b)
Quindi il sacerdote si porta dove può dare più comodamente la comunione e
distribuisce nel modo consueto il Corpo del Signore a ognuno dei fedeli che si
comunicano sotto le due specie; questi si avvicinano e, facendo la debita
riverenza,
vanno
davanti al sacerdote, dal quale ricevono il Corpo del Signore, poi si spostano
alquanto.
c)
Dopo che i singoli comunicandi hanno ricevuto il Corpo del Signore, il sacerdote
depone la pisside sopra l'altare e prende il calice con il purificatoio. Quelli
che devono comunicarsi al calice, a uno a uno si portano di nuovo davanti al
sacerdote, il quale dice: Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi); il comunicando
risponde: Amen, e, per comodità, egli stesso con le sue mani accosta alle labbra
il calice, che gli viene presentato dal sacerdote; beve e restituisce al
sacerdote, che asterge con il purificatoio il labbro esterno del calice.
d)
Terminata la comunione al calice, il sacerdote depone il calice sull'altare e,
se vi fossero altri fedeli da comunicare sotto una sola specie, da loro la
comunione nella forma consueta; ritorna poi all'altare, beve il resto del vino
consacrato e fa le purificazioni come di consueto.
2.
Rito della comunione sotto le due specie per intuizione
246.
Se è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito:
a)
II sacerdote celebrante gli consegna il calice e il purificatoio, egli invece
prende la patena o la pisside con le ostie; quindi il sacerdote con il ministro
del calice si porta al luogo dove più comodamente può distribuire la
comunione.
b)
I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano
davanti al sacerdote; questi intinge parte dell'ostia nel calice e presentandola
a ciascuno dice: Il corpo e il Sangue di Cristo (Corpus et Sanguis Christi). Il
comunicando, tenendo la patena sotto il mento, risponde: Amen, e riceve dal
sacerdote l'Eucaristia; ritorna poi al suo posto.
c)
Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l'Eucaristia sotto una
sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si fanno le purificazioni
nel modo detto sopra.
247.
Se non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito:
a)
Il sacerdote, dopo che si è comunicato al Sangue del Signore, prende il calice
tra il pollice e l'indice della mano sinistra, e, tenendo la patena o la pisside
con le ostie tra l'indice e il medio della stessa mano, si porta dove più
comodamente può distribuire la comunione.
b)
I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano
davanti al sacerdote; questi intinge parte dell'ostia nel calice e,
presentandola a ciascuno, dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo (Corpus et
Sanguis Christi). Il comunicando, tenendo la patena sotto il mento, risponde:
Amen, e riceve dal sacerdote l'Eucaristia; ritorna poi al suo posto.
c)
Si può anche collocare in un luogo adatto un piccolo tavolo con tovaglia e
corporale, su cui il celebrante depone il calice o la pisside per rendere più
facile la distribuzione della comunione.
d)
Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l'Eucaristia sotto una
sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si fanno le purificazioni
nel modo detto sopra.
3.
Rito della comunione sotto le due specie con la cannuccia
248.
Anche il sacerdote si serve della cannuccia per comunicarsi al Sangue del
Signore.
249. Se è presente il diacono o un altro
sacerdote o un accolito:
a)
Per la comunione al Corpo e al Sangue del Signore ci si attiene a quanto è stato
detto sopra al n. 244, comma b) e c).
b)
Successivamente il comunicando si porta davanti al ministro del calice, il quale
dice: Il Sangue di Cristo (Sanguis Christi); il comunicando risponde: Amen, e
con la cannuccia che il ministro gli presenta, beve dal calice il Sangue del
Signore. Quindi, facendo attenzione a non lasciarne cadere qualche goccia, con
la medesima cannuccia sorseggia un po' d'acqua dal recipiente che un ministro
tiene in mano: poi depone la cannuccia in un altro recipiente, che gli viene
presentato dallo stesso ministro.
250. Se non è presente il diacono, né un
altro sacerdote, né un accolito, il sacerdote celebrante medesimo presenta il
calice a ciascuno dei comunicandi, secondo il rito descritto sopra per la
comunione al calice (n. 245), e un ministro accanto a lui tiene il recipiente
con l'acqua per purificare la cannuccia.
4.
Rito della comunione sotto le due specie con il cucchiaino
251. Se è presente il diacono o un altro
sacerdote o un accolito, questi tiene nella mano sinistra il calice, e a ogni
comunicando che gli si accosta reggendo il piattello sotto il mento,
distribuisce con il cucchiaino il Sangue del Signore, dicendo: Il Sangue di
Cristo (Sanguis Christi), e badando a non toccare con il cucchiaino le labbra o
la lingua dei comunicandi.
252.
Se non c'è il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, il sacerdote
celebrante stesso, dopo che i comunicandi sotto le due specie hanno ricevuto il
Corpo del Signore, distribuisce loro anche il Sangue.
Capitolo
V
DISPOSIZIONE
E ARREDAMENTO
I.
Principi generali
253. Per la celebrazione dell'Eucaristia,
il popolo di Dio si riunisce di solito nella chiesa oppure, in mancanza di
questa, in un altro luogo decoroso che sia degno di un così grande mistero.
Quindi le chiese o gli altri luoghi, si prestino alla celebrazione delle azioni
sacre e all'attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose
che servono al culto siano davvero degne, belle, segni e simboli delle realtà
celesti72.
254.
Pertanto la Chiesa non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti, e
ammette le forme artistiche di tutti i popoli e di tutti i paesi73.
Anzi, come si sforza di conservare le opere d'arte e i tesori che i secoli
passati hanno trasmesso74 e, per quanto è possibile, cerca di
adattarli alle nuove esigenze, cerca
Perciò
nella formazione degli artisti come pure nella scelta delle opere da ammettere
nella chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell'arte, che alimentino la
fede e la devozione e corrispondano alla verità del loro significato e al fine
cui sono destinate76.
255.
Tutte le chiese siano solennemente dedicate o almeno benedette. Le
chiese cattedrali e parrocchiali siano sempre dedicate. I fedeli, poi, tengano
nel dovuto onore la chiesa cattedrale della loro diocesi e la propria chiesa
parrocchiale; e considerino l'una e l'altra segno di quella Chiesa spirituale
alla cui edificazione e sviluppo sono chiamati dalla loro professione
cristiana.
256.
Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, al restauro e al
riordinamento delle chiese, consultino la Commissione diocesana di Liturgia e
Arte sacra. L'Ordinario del luogo, poi, si serva del consiglio e dell'aiuto
della stessa Commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di
approvare progetti di nuove chiese, o di definire questioni di una certa
importanza77.
II.
Disposizione della chiesa per l'assemblea eucaristica
257.
Il popolo di Dio, che si raduna per la Messa, ha una struttura organica e
gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o ministeri) e nel diverso
comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario
che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo
modo l'immagine dell'assemblea riunita, consentire l'ordinata e organica
partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di
ciascuno.
I
fedeli e la schola avranno un posto
che renda più facile la loro partecipazione attiva78.
Il
sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio, ossia in
quella parte della chiesa che manifesta il loro ministero, e in cui ognuno
rispettivamente presiede all'orazione, annuncia la parola di Dio e serve
all'altare. Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la
diversità dei compiti (o ministeri), ma devono anche assicurare una più profonda
e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l'unità di tutto
il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di tutta la
suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che
vengono celebrati.
III.
Il presbiterio
258.
Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per
mezzo di un'elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia
inoltre di tale ampiezza da
consentire un comodo svolgimento dei sacri riti79.
IV.
L'altare
259.
L'altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della
Croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a
partecipare quando è convocato per la Messa; l'altare è il centro dell'azione di
grazie che si compie con l'Eucaristia80.
260.
La celebrazione dell'Eucaristia in un luogo sacro si deve compiere sopra un
altare fisso o mobile; fuori del luogo sacro, invece, specie se vi si fa ad modum actus, si può compiere anche
sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale.
261.
L'altare si dice «fisso» se è costruito in modo da aderire al pavimento e non
poter quindi venir rimosso; si dice invece «mobile» se lo si può
trasportare.
262. Nella chiesa vi sia di norma l'altare
fisso e dedicato. Sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente
girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da
costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga
l'attenzione di tutta l'assemblea81.
263. Secondo un uso e un simbolismo
tradizionali nella Chiesa, la mensa dell'altare fisso sia di pietra, e più
precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della Conferenza
Episcopale, si può adoperare anche un'altra materia degna, solida e ben
lavorata.
Gli
stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi
materiale, purché conveniente e solido.
264.
L'altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio
e solido, confacente all'uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle
diverse regioni.
265.
Gli altari, sia fissi che mobili, si dedicano secondo il rito descritto nei
libri liturgici; tuttavia gli altari mobili possono essere soltanto benedetti.
Non vi è alcun obbligo di inserire la pietra consacrata nell'altare mobile o nel
tavolo sul quale si compie la celebrazione fuori del luogo sacro (cf n.
260).
266. Si mantenga l'uso di collocare sotto
l'altare da dedicare le reliquie dei santi, anche se non martiri. Però si curi
di verificare l'autenticità di tali reliquie.
267.
Gli altri altari siano pochi e, nelle nuove chiese, siano collocati in cappelle,
separate in qualche modo dalla navata della chiesa82.
V.
La suppellettile dell'altare
268.
Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito
nel quale vengono presentati il Corpo e il Sangue di Cristo, si distenda sopra
l'altare almeno una tovaglia, che sia adatta alla struttura dell'altare per la
forma, la misura e l'ornamento.
269.
I candelieri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di
venerazione e di celebrazione gioiosa, siano collocati o sopra l'altare, oppure
accanto a esso, tenuta presente la struttura sia dell'altare che del
presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli
di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull'altare.
270.
Inoltre vi sia sopra l'altare, o accanto a esso, una croce, ben visibile allo
sguardo dell'assemblea riunita.
VI.
La sede per il celebrante e per i ministri, ossia il luogo della
presidenza
271. La sede del sacerdote celebrante deve
mostrare il compito che egli ha di presiedere l'assemblea e di guidare la
preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al
fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell'edificio
e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la
comunicazione tra il sacerdote e l'assemblea. Si eviti ogni forma di trono. Le
sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto
perché essi possano compiere con facilità il proprio ufficio83.
VII.
L'ambone, ossia il luogo dal quale viene annunciata la parola di
Dio
272.
L'importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto
dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la liturgia della
Parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei fedeli84.
Conviene
che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile.
L'ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale
che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli.
Dall'ambone
si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi
inoltre si può tenere l'omelia e la preghiera universale o preghiera dei fedeli.
Non conviene però che all'ambone salga il commentatore, il cantore o l'animatore
del coro.
VIII.
I posti dei fedeli
273.
Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano
debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre
celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però
riprovare l'uso di riservare dei posti a persone private85.
Le
sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente
i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della
celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione. Si abbia
cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici
moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri.
IX.
Il posto della «schola» e dell'organo o di altri strumenti
musicali
274.
La schola cantorum, tenuto conto
della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente
in risalto la sua natura: che essa cioè fa parte dell'assemblea dei fedeli e
svolge un suo particolare ufficio; ne sia agevolato il compimento del suo
ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei suoi membri la
partecipazione piena alla Messa, cioè la partecipazione
sacramentale86.
275.
L'organo e gli altri strumenti legittimamente ammessi siano collocati in luogo
adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se
vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti.
X.
Il posto per la custodia della Santissima Eucaristia
276.
Si raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva la Santissima Eucaristia
sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e alla adorazione dei
fedeli87. Se poi questo non si può attuare, l'Eucaristia sia
collocata in un altare, o anche fuori dell'altare, in un luogo della chiesa
molto visibile e debitamente ornato, tenuta presente la struttura di ciascuna
chiesa e le legittime consuetudini di ogni luogo88.
277.
Si custodisca la Santissima Eucaristia in un unico tabernacolo, inamovibile, e
solido, non trasparente, e chiuso in modo da evitare il più possibile il
pericolo di una profanazione. Pertanto in ogni chiesa normalmente vi sia un solo
tabernacolo89.
XI.
Le immagini esposte alla venerazione dei fedeli
278.
Secondo un'antichissima tradizione della Chiesa, nei luoghi sacri legittimamente
si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata
Vergine e dei santi. Si abbia cura tuttavia che il loro numero non sia
eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l'attenzione dei fedeli dalla
celebrazione90. Di un medesimo santo poi non si abbia che una sola
immagine. In generale, nell'ornamento e nella disposizione della chiesa, per
quanto riguarda le immagini si cerchi di favorire la pietà della comunità.
XII.
La disposizione generale del luogo sacro
279.
L'arredamento della chiesa abbia di mira una nobile semplicità, piuttosto che il
fasto. Nella scelta degli elementi
280.
Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano
opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo
le cose più direttamente pertinenti alla celebrazione delle azioni sacre, ma che
si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli, e che
abitualmente si trova nei luoghi di riunione.
Capitolo
VI
COSE
NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA
I.
Il pane e il vino per celebrare l'Eucaristia
281.
Fedele all'esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre usato pane e vino con acqua
per celebrare la Cena del Signore.
282.
Il pane per la celebrazione dell'Eucaristia deve essere di solo frumento,
confezionato di recente, e azzimo, secondo l'antica tradizione della Chiesa
latina.
283.
La natura di segno esige che la materia della celebrazione eucaristica si
presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene
azzimo e confezionato nella forma
tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il
popolo possa spezzare davvero l'ostia in più parti e distribuirle almeno ad
alcuni dei fedeli. Le Ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il
numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano. Il gesto della
frazione del pane, con cui l'Eucaristia veniva semplicemente designata nel tempo
apostolico, manifesterà sempre più la forza e l'importanza del segno dell'unità
di tutti in un unico pane, e del segno della carità per il fatto che un unico
pane è distribuito tra i fratelli.
284.
Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal frutto della vite
(cf Lc 22, 18), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee.
285.
Con la massima cura si conservino in perfetto stato il pane e il vino destinati
all'Eucaristia; cioè si badi che il vino non diventi aceto, e che il pane non si
guasti o sia troppo duro, così che solo con difficoltà si possa spezzare.
286.
Se dopo la consacrazione, o al momento della comunione, il sacerdote si accorge
di aver usato acqua, anziché vino, metta l'acqua in un recipiente, versi nel
calice vino con acqua e lo consacri, ripetendo la parte del racconto evangelico
che riguarda la consacrazione del calice, senza dover nuovamente consacrare il
pane.
II.
Le suppellettili sacre in genere
287.
Come per la costruzione di chiese, anche per ogni tipo di suppellettile sacra la
Chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli
adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli,
purché ogni cosa sia adatta all'uso per il quale è destinata91. Anche
in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene
con l'arte autentica.
288.
Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre a quella
tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle che, secondo la
mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si adattano
bene all'uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta alla Conferenza
Episcopale delle singole regioni.
III.
I vasi sacri
289.
Tra le cose richieste per la celebrazione della Messa, sono degni di particolare
rispetto i vasi sacri; tra questi, specialmente il calice e la patena, nei quali
vengono offerti, consacrati e consumati il pane e il vino.
290.
I vasi sacri siano di materia solida e nobile, secondo la comune valutazione di
ogni regione. La cosa è rimessa al giudizio della Conferenza Episcopale.
Tuttavia si preferiscano materie che non si rompano né si deteriorino
facilmente.
291.
I calici e gli altri vasi destinati a contenere il Sangue del Signore, abbiano
la coppa fatta di una materia che non assorba i liquidi. La base del calice può
essere fatta con materie diverse, solide e decorose.
292.
I vasi sacri che servono a contenere le ostie, come la patena, la pisside, la
teca, l'ostensorio e altri analoghi, si possono fabbricare anche con altre
materie, tra quelle più apprezzate nelle varie regioni, come ad esempio l'avorio
o alcuni legni particolarmente duri, sempre che siano adatti all'uso sacro.
293. Per la consacrazione delle ostie, si
può convenientemente usare un'unica patena grande, sopra la quale si pone il
pane sia per il sacerdote, sia per i ministri e i fedeli.
294.
I vasi sacri di metallo siano abitualmente dorati all'interno, se il metallo è
ossidabile; se invece sono di metallo inossidabile, e più nobile che l'oro, la
doratura non è necessaria.
295. Per quanto riguarda la forma dei vasi
sacri, è compito dell'artista confezionarli nel modo più conveniente secondo gli
usi delle singole regioni, purché siano adatti all'uso liturgico cui sono
destinati.
296. Per la benedizione dei vasi sacri, si
osservino i riti prescritti nei libri liturgici.
IV.
Le vesti sacre
297.
Nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono la stessa
missione. Questa diversità di ministeri nel compimento del culto sacro, si
manifesta all'esterno con la diversità delle vesti sacre, che perciò devono
essere segno dell'ufficio proprio di ogni ministro. Conviene però che tali vesti
contribuiscano anche al decoro dell'azione sacra.
298. La veste sacra comune a tutti i
ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno
che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice
non copre pienamente, intorno al collo, l'abito comune, prima di indossarlo si
deve mettere l'amitto.
Il
camice può essere sostituito dalla cotta; non però quando si indossano la casula
o la dalmatica, né quando si usa la stola al posto della casula o della
dalmatica.
299. Veste propria del sacerdote
celebrante, nella Messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con
essa, è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente; la casula
s'indossa sopra il camice e la stola.
300. Veste propria del diacono è la
dalmatica, da indossarsi sopra il camice e la stola.
301.
I ministri di grado inferiore al diacono possono indossare il camice o un'altra
veste legittimamente approvata nella loro regione.
302.
La stola indossata dal sacerdote gira attorno al collo e scende davanti,
diritta. La stola indossata dal diacono poggia sulla spalla sinistra e, passando
trasversalmente davanti al petto, si raccoglie sul fianco destro.
303. Il piviale viene indossato dal
sacerdote nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche
proprie dei singoli riti.
304. Riguardo alla forma delle vesti sacre,
le Conferenze Episcopali possono stabilire e proporre alla Sede Apostolica
adattamenti richiesti dalle necessità e dagli usi delle singole
regioni92.
305. Per la confezione delle vesti sacre,
oltre alle stoffe tradizionali, si possono usare altre fibre naturali proprie
delle singole regioni, come pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità
dell'azione sacra e della persona. In questa materia è giudice la Conferenza
Episcopale93.
306. La bellezza e la nobiltà delle vesti
si devono cercare e porre in risalto più nella forma e nella materia usate, che
nella ricchezza dell'ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o
immagini, o simboli, che indichino l'uso sacro delle vesti, con esclusione di
ciò che non vi si addice.
307.
La differenza dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con
mezzi esterni, la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono
celebrati, e il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell'anno
liturgico.
308.
Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l'uso tradizionale, e
cioè:
a)
Il colore bianco si usa negli Uffici e nelle Messe del Tempo pasquale e del
Tempo natalizio. Inoltre: nelle feste e nelle «memorie» del Signore, escluse
quelle della Passione; nelle feste e nelle «memorie» della beata Vergine, degli
angeli, dei santi non martiri, nella festa di tutti i santi (1° novembre), di
san Giovanni Battista (24 giugno), di san Giovanni evangelista (27 dicembre),
della Cattedra di san Pietro (22 febbraio) e della Conversione di san Paolo (25
gennaio).
b)
Il colore rosso si usa nella domenica di Passione (o delle Palme) e nel Venerdì
Santo, nella domenica di Pentecoste, nelle celebrazioni della Passione del
Signore, nella festa natalizia degli Apostoli e degli evangelisti e nelle
celebrazioni dei santi martiri.
c)
Il colore verde si usa negli Uffici e nelle Messe del Tempo Ordinario.
d)
Il colore viola si usa nel Tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli
Uffici e nelle Messe per i defunti.
e)
Il colore nero si può usare nelle Messe per i defunti.
f)
Il colore rosaceo, si può usare nelle domeniche Gaudete (III di Avvento) e Laetare (IV di Quaresima).
Le
Conferenze Episcopali possono però stabilire e proporre alla Sede Apostolica
adattamenti conformi alle necessità e alla cultura dei singoli popoli.
309.
Nei giorni più solenni si possono usare vesti sacre più preziose, anche se non
sono del colore del giorno.
310. Le Messe rituali si dicono con il
colore a esse proprio, oppure con colore bianco o festivo. Le Messe per varie
necessità con il colore proprio del giorno o del Tempo, oppure con colore viola
se hanno carattere penitenziale (ad es. le Messe «In tempo di guerra o di
disordini; in tempo di fame; per la remissione dei peccati»). Le Messe votive si
dicono con il colore adatto alla Messa che si celebra o anche con il colore
proprio del giorno o del Tempo.
V.
Altra suppellettile destinata all'uso della chiesa
311. Oltre ai vasi sacri e alle vesti
liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l'altra
suppellettile, destinata direttamente all'uso liturgico, o in qualunque altro
modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni
cosa è destinata.
312. Si curi in modo particolare che anche
nelle cose di minore importanza le esigenze dell'arte siano opportunamente
rispettate, e che una nobile semplicità sia sempre congiunta con la debita
pulizia.
Capitolo
VII
LA
SCELTA DELLE PARTI DELLA MESSA
313. L'efficacia pastorale della
celebrazione aumenta se il testo delle letture, delle orazioni e dei canti
corrispondono il meglio possibile alle necessità, alla preparazione spirituale e
alle capacità dei partecipanti. Questo si ottiene usando convenientemente di una
molteplice facoltà di scelta che sarà descritta più avanti.
Nel
preparare la Messa, il sacerdote, tenga presente più il bene spirituale comune
dell'assemblea che il proprio gusto. Si ricordi anche che la scelta di queste
parti si deve fare insieme con i ministri e con le altre persone che svolgono
qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li
riguarda direttamente.
Dal
momento che è offerta un'ampia possibilità di scegliere le diverse parti della
Messa, è necessario che prima della celebrazione il diacono, il lettore, il
salmista, il cantore, il commentatore, la schola, ognuno per la sua parte,
sappiano bene quali testi spettano a ciascuno, in modo che nulla si lasci
all'improvvisazione. L'armonica disposizione ed esecuzione dei riti contribuisce
moltissimo a disporre lo spirito dei fedeli per la partecipazione
all'Eucaristia.
I.
La scelta della Messa
314. Nelle solennità il sacerdote è tenuto
a seguire il calendario della chiesa in cui celebra.
315. Nelle domeniche, nelle ferie di
Avvento, di Natale, di Quaresima e di Pasqua, nelle feste e nelle memorie
obbligatorie:
a)
se la Messa si celebra con il popolo, il sacerdote segua il calendario della
chiesa in cui celebra;
b)
se la Messa si celebra senza il popolo, il sacerdote può scegliere tra il
calendario del luogo e il calendario proprio.
316.
Nelle memorie facoltative:
a)
Nelle ferie di Avvento dal 17 al 24 dicembre, tra l'ottava di Natale, e nelle
ferie di Quaresima, fatta eccezione per il mercoledì delle Ceneri e per le ferie
della Settimana Santa, il sacerdote dice la Messa del giorno liturgico
occorrente; però dalla memoria eventualmente segnata in quel giorno sul
calendario generale può prendere la colletta, purché non occorra il mercoledì
delle Ceneri o una feria della Settimana Santa.
b)
Nelle ferie di Avvento, prima del 17 dicembre, nelle ferie del Tempo natalizio
dal 2 gennaio e in quelle del Tempo pasquale, il sacerdote può scegliere o la
Messa della feria, o la Messa del santo o di uno dei santi di cui si fa la
memoria, o la Messa di un santo ricordato quel giorno nel Martirologio,
c)
Nelle ferie del Tempo Ordinario, il sacerdote può scegliere o la Messa della
feria o la Messa di una eventuale memoria facoltativa, o la Messa di qualche
santo ricordato in quel giorno nel Martirologio, o una Messa «per varie
necessità» o una Messa votiva.
Se
celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccupi anzitutto del
bene spirituale dei fedeli, evitando di imporre i propri gusti. Soprattutto
cerchi di non omettere troppo spesso e senza motivo sufficiente le letture
assegnate per i singoli giorni dal Lezionario feriale: la Chiesa desidera
infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più abbondante della parola
di Dio94.
Per
lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: tutte le
Messe sono offerte per i vivi e per i defunti, e dei defunti si fa memoria in
ogni Preghiera eucaristica. Là dove le memorie facoltative della beata Vergine,
o di un santo, sono care alla pietà dei fedeli, sia celebrata almeno una Messa
in loro onore per soddisfare alla legittima devozione dei fedeli. Quando poi c'è
possibilità di scelta tra una memoria iscritta nel calendario generale e una
memoria del calendario diocesano o religioso, si dia la precedenza, a parità di
importanza e secondo la tradizione, alla memoria del calendario
particolare.
II.
La scelta delle parti della Messa
317.
Nello scegliere i testi delle diverse parti della Messa, sia del Tempo che dei
santi si osservino le norme seguenti:
Le
letture
318.
Alla domenica e nelle feste vi sono tre letture: il Profeta, l'Apostolo e il
Vangelo; la loro proclamazione educa il popolo cristiano al senso della
continuità nell'opera di salvezza, secondo la mirabile pedagogia divina.
Si
raccomanda quindi molto che le letture siano tre. Tuttavia, per ragioni di
ordine pastorale e in seguito a decreto della Conferenza Episcopale, può essere
consentito in qualche luogo l'uso di due sole letture. Quando poi c'è da
scegliere tra le due prime letture, si tengano presenti le norme proposte dal
Lezionario e l'intento di condurre i fedeli a una più profonda conoscenza delle
Scritture; il criterio di scelta non sia mai solo quello del testo più breve o
più facile.
319.
Nel Lezionario feriale sono proposte delle letture per ogni giorno della
settimana, lungo tutto il corso dell'anno: pertanto proprio queste letture si
dovranno abitualmente usare nei giorni a cui sono assegnate, a meno che non
ricorra una solennità o una festa.
Quando
la lettura continua venisse interrotta durante la settimana da una festa o da
qualche celebrazione speciale, il sacerdote, tenendo presente l'ordine delle
letture di tutta la settimana, può aggiungere alle altre letture quella omessa o
decidere quale testo preferire.
Nelle
Messe per gruppi particolari, il sacerdote potrà scegliere le letture più adatte
a quella particolare celebrazione, purché tratte dai testi del Lezionario
approvato.
320. Una scelta speciale di testi della
sacra Scrittura è fatta per le Messe nelle quali è inserita la celebrazione di
sacramenti o di sacramentali, o che vengono celebrate in speciali
circostanze.
Questi
Lezionari sono stati composti in modo che i fedeli, attraverso l'ascolto di una
lettura più adatta, comprendano meglio il mistero a cui prendono parte e
aumentino il loro amore per la parola di Dio.
Quindi
i testi da leggersi nell'assemblea liturgica si devono scegliere in base a
un'opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la libertà di scelta
prevista per questi casi.
Le
orazioni
321. Il grande numero di prefazi, di cui è
arricchito il Messale Romano, mira a presentare sotto angolazioni diverse il
tema dell'azione di grazie proprio della Preghiera eucaristica e a porre
maggiormente in luce i vari aspetti del mistero della salvezza.
322. La scelta tra le Preghiere
eucaristiche è regolata dalle norme seguenti:
a)
La Preghiera eucaristica I, o Canone romano, si può sempre usare; il suo uso
tuttavia è più indicato nei giorni ai quali è assegnato un Communicantes (In
comunione) proprio, o nelle Messe con l'Hanc igitur (Accetta con benevolenza)
proprio, oltre che nelle feste degli Apostoli e dei santi di cui si fa menzione
nella Preghiera stessa; così pure nelle domeniche a meno che, per ragioni
pastorali, non si preferisca un'altra Preghiera eucaristica.
b)
La Preghiera eucaristica II, per le sue particolari caratteristiche, è più
indicata per i giorni feriali o in circostanze particolari. Quantunque abbia un
prefazio proprio, può essere collegata con altri prefazi, specialmente con
quelli che presentano in sintesi il mistero della salvezza, come a esempio i
prefazi delle domeniche del Tempo Ordinario e i prefazi comuni.
Quando
si celebra la Messa per un defunto, si può inserire la formula particolare
proposta a suo luogo, cioè prima del Ricordati dei nostri fratelli (Memento
etiam).
c)
La Preghiera eucaristica III si può dire con qualsiasi prefazio. È preferibile
usarla nelle domeniche e nei giorni festivi. In questa preghiera si può usare la
formula particolare per un defunto, inserendola a suo luogo, cioè dopo le parole
Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi
(Omnes filios tuos ubique dispersos).
d)
La Preghiera eucaristica IV ha un prefazio invariabile e offre un compendio più
completo della storia della salvezza. Si può usare quando la Messa manca di un
prefazio proprio. In questa Preghiera, in ragione della sua struttura, non si
può inserire una particolare formula per un defunto.
e)
Una Preghiera eucaristica che abbia un prefazio proprio si può usare, con il suo
prefazio, anche quando le rubriche indicano un prefazio del Tempo.
323. In ogni Messa, salvo indicazioni in
contrario, si dicono le orazioni proprie di quella Messa.
Tuttavia
nelle Messe delle memorie si dice la colletta propria o quella del Comune; le
orazioni sulle offerte e dopo la comunione, se non sono proprie, si possono
scegliere dal Comune o dalle ferie del tempo corrente.
Nelle
ferie del Tempo Ordinario, oltre all'orazione della domenica precedente, si
possono dire le orazioni di un'altra domenica del Tempo Ordinario, oppure
un'orazione scelta tra i formulari per varie necessità che si trovano nel
Messale. Di queste Messe si può comunque scegliere anche la sola colletta. In
tal modo viene proposto un maggior numero di testi, che non solo permettono di
rinnovare di continuo i temi della preghiera dell'assemblea liturgica, ma anche
di adattare la stessa preghiera alle necessità dei fedeli, della Chiesa e del
mondo. Nei tempi più importanti dell'anno, questo adattamento già avviene
mediante l'orazione propria del tempo che si trova per ogni giorno nel
Messale.
I
canti
324.
Nello scegliere i canti fra le letture, e i canti di ingresso, di offertorio e
di comunione, si osservino le norme stabilite nel capitolo che ne tratta.
Facoltà
particolari
325.
Oltre alle possibilità di cui si è parlato nei numeri precedenti per la scelta
dei testi più adatti, le Conferenze Episcopali hanno la facoltà di indicare, per
particolari circostanze, alcuni adattamenti per le letture, a condizione che i
testi vengano scelti da un Lezionario debitamente approvato.
Capitolo
VIII
MESSE
E ORAZIONI PER DIVERSE CIRCOSTANZE
I.
Messe e orazioni per diverse circostanze
326.
Poiché la liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre ai fedeli ben
disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita
per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale95, e poiché
l'Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di
Messe e di orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita
cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e
locale.
327.
Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che
delle Messe «per diverse circostanze» si faccia un uso moderato, cioè quando lo
esige l'opportunità pastorale.
328.
In tutte le Messe «per diverse circostanze», salvo espresse indicazioni in
contrario, si possono usare le letture feriali con i loro canti responsoriali,
se si accordano con la celebrazione.
329.
Le Messe «per diverse circostanze» sono di tre tipi:
a)
Messe rituali, collegate con la celebrazione di alcuni sacramenti o
sacramentali.
b)
Messe per varie necessità, che vengono dette in alcune occasioni, sia
saltuariamente, sia in tempi determinati.
c)
Messe votive o di devozione, che vengono scelte liberamente secondo la devozione
dei fedeli per commemorare i misteri del Signore, o per onorare la beata Vergine
Maria o qualche santo o tutti i santi.
330.
Le Messe rituali sono proibite nelle domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua,
nelle solennità, nei giorni fra l'ottava di Pasqua, nella Commemorazione di
tutti i fedeli defunti, nel mercoledì delle Ceneri e nelle ferie della Settimana
Santa; si devono inoltre osservare le norme indicate nei libri rituali o nei
formulari delle Messe stesse.
331.
Tra le Messe per varie necessità la competente autorità può scegliere Messe per
eventuali suppliche pubbliche, stabilite dalla Conferenza Episcopale nel corso
dell'anno.
332.
Nel caso di una necessità particolarmente grave o di una utilità pastorale si
può celebrare una Messa adatta, per ordine o con il consenso dell'Ordinario del
luogo, in qualsiasi giorno, eccetto le solennità e le domeniche di Avvento,
Quaresima e Pasqua, i giorni fra l'ottava di Pasqua, la Commemorazione di tutti
i fedeli defunti, il mercoledì delle Ceneri e le ferie della Settimana
Santa.
333.
Nei giorni in cui occorre una memoria obbligatoria o una feria di Avvento fino
al 16 dicembre, del Tempo natalizio a cominciare dal 2 gennaio, e del Tempo
pasquale dopo l'ottava di Pasqua, sono per sé proibite le Messe per varie
necessità e quelle votive. Se però lo richiede un'autentica necessità o
un'utilità pastorale, nella Messa con partecipazione di popolo si può usare il
formulario corrispondente a questa necessità o utilità, a giudizio del rettore
della chiesa o dello stesso sacerdote celebrante.
334. Nelle ferie del Tempo Ordinario nelle
quali occorrono memorie facoltative o si fa l'ufficio della feria, si può
celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione «per diverse
circostanze», fatta eccezione per le Messe rituali.
II.
Messe dei defunti
335. La Chiesa offre il sacrificio
eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione
esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale, e
gli altri il conforto della speranza.
336. Tra le Messe per i defunti, ha il
primo posto la Messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le
solennità di precetto, il Giovedì Santo, il Triduo pasquale e le domeniche di
Avvento, Quaresima e Pasqua.
337.
La Messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della
sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra
l'ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una
feria, che non sia il mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana Santa.
Le altre Messe per i defunti, o Messe "quotidiane", si possono celebrare nelle
ferie del Tempo Ordinario, nelle quali occorrono memorie facoltative o si fa
l'ufficio della feria, purché siano veramente applicate per i defunti.
338. Nella Messa esequiale si tenga
normalmente una breve omelia, escludendo però la forma dell'elogio funebre. Si
raccomanda l'omelia anche nelle altre Messe per i defunti con partecipazione di
popolo.
339.
Si invitino i fedeli, specialmente i familiari del defunto, a partecipare con la
santa comunione al sacrificio eucaristico offerto per il defunto stesso.
340. Se la Messa esequiale è inserita nel
rito delle esequie, detta l'orazione dopo la comunione, si tralasciano i riti di
conclusione e si compie l'ultima raccomandazione o commiato. Questo rito si fa
soltanto quando il cadavere è presente.
341. Nell'ordinare e scegliere le parti
variabili della Messa per i defunti (come le Orazioni, le letture, la preghiera
dei fedeli), specialmente nella Messa esequiale, si tengano presenti, come è
giusto, gli aspetti pastorali che interessano il defunto, la sua famiglia e i
presenti.
Inoltre
i pastori d'anime abbiano un riguardo speciale per coloro che in occasione del
funerale sono presenti alla celebrazione liturgica o ascoltano la lettura del
Vangelo, siano essi acattolici o cattolici che non partecipano mai o quasi mai
all'Eucaristia, o che sembrano aver perduto la fede; i sacerdoti sono per tutti
i ministri del Vangelo di Cristo.
CONFERENZA
EPISCOPALE ITALIANA
La
Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ritiene opportuno precisare alcune
indicazioni che la normativa liturgica affida alle Conferenze Episcopali
nazionali e richiamare l'attenzione su alcuni punti della celebrazione
eucaristica96.
1.
Gesti e atteggiamenti
La
CEI fa proprio quanto indicato in «Principi e norme per l'uso del Messale
Romano» e cioè:
In
piedi dal canto d'ingresso fino alla colletta compresa. Seduti durante la prima
e seconda lettura e il salmo responsoriale. In piedi dall'acclamazione al
Vangelo alla fine del Vangelo. Seduti durante l'omelia e il breve silenzio che
segue. In piedi dall'inizio del Credo, recitato o cantato, fino alla conclusione
della preghiera universale o dei fedeli.
Seduti
durante tutto il rito della presentazione dei doni. Ci si alza per
l'incensazione dell'assemblea.
In
piedi dall'orazione sulle offerte fino all'epiclesi prima della consacrazione
(gesto dell'imposizione delle mani) esclusa. In ginocchio, se possibile,
dall'inizio dell'epiclesi preconsacratoria (gesto dell'imposizione delle mani)
fino all'elevazione del calice inclusa.
In
piedi da Mistero della fede fino alla comunione inclusa, fatta la quale si potrà
stare in ginocchio o seduti fino all'orazione dopo la comunione.
Durante
il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate;
questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima
fraterno di preghiera.
In
piedi dall'orazione dopo la comunione sino alla fine. N.B. Durante l'ascolto
della Passione del Signore (Domenica delle palme e Venerdì Santo) si può
rimanere seduti per una parte della lettura.
Anche
qualora il canto del Gloria a Dio comportasse uno sviluppo musicale di una certa
ampiezza, in casi particolari, ci si potrà sedere dopo l'intonazione.
2.
Canti di ingresso, di offertorio e di comunione (cf nn. 26, 50 e
56)
In
luogo dei canti inseriti nei libri liturgici si possono usare altri canti adatti
all'azione sacra, al momento e al carattere del giorno o del tempo, purché siano
approvati dalla Conferenza Episcopale nazionale o regionale o dall'Ordinario del
luogo. Si esortano i musicisti e i cantori a valersi dei testi antifonali del
giorno con qualche eventuale adattamento.
Professione
di fede (cf n. 43)
Quando
è prescritta la professione di fede, si potrà alternare il simbolo
niceno-costantinopolitano con quello detto «degli Apostoli», proclamando con
diverse formule la stessa unica fede. Sarà il criterio dell'utilità pastorale a
suggerire l'uso di questo secondo Simbolo, che pure è patrimonio del popolo di
Dio e appartiene alla veneranda Tradizione della Chiesa. Esso richiama la
professione di fede fatta nella celebrazione del Battesimo e si inserisce
opportunamente nel Tempo di Quaresima e di Pasqua, nel contesto catecumenale e
mistagogico dell'iniziazione cristiana.
Per
una più facile memorizzazione nella lettera e nel contenuto, è opportuno che il
simbolo apostolico sia usato per un periodo piuttosto prolungato.
3.
Preghiera universale (cf nn. 45-47)
La
preghiera universale o preghiera dei fedeli è di norma nelle Messe domenicali e
festive. Dato tuttavia il suo rilievo pastorale, anche perché offre l'occasione
di collegare la liturgia della Parola con la situazione concreta, è evidente
l'opportunità di farla quotidianamente nelle Messe con la partecipazione del
popolo.
Perché
la preghiera universale sia veramente rispondente al suo spirito e alla sua
struttura, si richiama l'esigenza di disporne precedentemente l'esatta
formulazione e di rispettare la successione e la sobrietà delle intenzioni,
tenendo presenti il momento liturgico, le emergenze ecclesiali e sociali, e il
suffragio per le anime dei pastori e dei fratelli defunti.
4.
Presentazione dei doni (cf nn. 48, 3 e 293)
Per
sottolineare la partecipazione all'«unico pane e all'unico calice» si abbia cura
di preparare, per quanto possibile, un'unica patena e un unico calice.
5.
Dossologia finale della Preghiera eucaristica (cf nn. 55h e 135)
La
dossologia conclusiva dell'anafora: Per Cristo, con Cristo e in Cristo è
proclamata dai soli sacerdoti celebranti. Il sacerdote che presiede e il diacono
ministrante tengano sollevati la patena e il calice fino all'Amen compreso con
il quale il popolo ratifica la grande preghiera sacerdotale.
6.
Segno di pace (cf n. 56b)
Il
segno di pace che i partecipanti alla celebrazione si scambiano con i fedeli che
sono al loro fianco, nello spirito di riconciliazione e di fraternità cristiana
necessario per accostarsi alla comunione eucaristica, dopo che a tutti l'ha
espresso con il gesto e con la parola il sacerdote celebrante, si può dare in
vari modi secondo le consuetudini e la qualità dei partecipanti. Scambiandosi il
segno di pace si può dire: La pace sia con te.
7.
Frazione del pane (cf nn. 56c e 283)
Perché
il segno della partecipazione «all'unico pane spezzato» abbia chiara evidenza è
bene compiere il gesto della «frazione del pane» in modo veramente espressivo e
visibile a tutti.
Conviene
quindi che il pane azzimo,
confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote
possa davvero spezzare l'ostia in più parti da distribuire almeno ad alcuni
fedeli.
Al
momento della «frazione», si dispongano, se necessario, le specie consacrate in
varie patene e in vari calici per una più agevole distribuzione, nel rispetto
delle norme liturgiche e dell'opportunità pastorale.
8.
Uffici particolari
I
lettori - uomini e donne - che in mancanza di ministri istituiti proclamano
dall'ambone le letture o propongono le intenzioni della preghiera universale o
dei fedeli, siano ben preparati ed edifichino l'assemblea con la proprietà
dell'atteggiamento e dell'abito.
9.
Possibilità di comunicarsi due volte nello stesso giorno
La
piena partecipazione alla Messa si attua e si manifesta con la comunione
sacramentale. Chi pertanto, pur essendosi già accostato alla mensa eucaristica,
parteciperà nello stesso giorno ad un'altra Messa, potrà, anche nel corso di
essa, ricevere nuovamente, cioè una seconda volta la comunione.
10.
La Comunione sotto le due specie (cf n. 242)
Oltre
ai casi e alle persone di cui al n. 242 di «Principi e norme», e salvo il
giudizio del vescovo di permettere la comunione sotto le due specie, la
Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito di allargare la concessione della
comunione sotto le due specie ai casi e alle persone qui sotto indicate:
a)
a tutti i membri degli istituti religiosi e secolari, maschili e femminili e a
tutti i membri delle case di educazione o formazione sacerdotale o religiosa,
quando partecipano alla Messa della comunità (cf «Principi e norme per l'uso del
Messale Romano» n. 76);
b)
a tutti i partecipanti alla Messa comunitaria in occasione di un incontro di
preghiera o di un convegno pastorale;
c)
a tutti i partecipanti a Messe che già comportano, per alcuni dei presenti, la
comunione sotto le due specie, a norma del n. 242 di «Principi e norme per l'uso
del Messale Romano»;
d)
in occasione di celebrazioni particolarmente espressive del senso della comunità
cristiana raccolta intorno all'altare.
11.
Rito della Comunione sotto le due specie per intinzione
Nella
comunione l'Eucaristia è sempre consegnata dal ministro e non presa direttamente
dai fedeli. Se la comunione viene fatta per intinzione, il sacerdote celebrante
può far sorreggere il calice (o la pisside), da un accolito o da un ministro
straordinario della comunione o da un fedele debitamente preparato.
12.
Uso della lingua nella celebrazione dell'Eucaristia
Nelle
Messe celebrate con il popolo si usa la lingua italiana. Si potranno inserire
nel repertorio della Messa celebrata in italiano canti dell'ordinario ed
eventualmente del proprio in lingua latina.
Gli
Ordinari del luogo, tenuto presente innanzi tutto il bene del popolo di Dio,
possono stabilire che in alcune chiese frequentate da fedeli di diverse
nazionalità si possa usare o la lingua propria dei presenti, se appartenenti al
medesimo gruppo linguistico, o la lingua latina avendo cura di proclamare le
letture bibliche e formulare la preghiera dei fedeli nelle varie lingue dei
partecipanti.
In
altri casi previsti in base ad una vera motivazione vagliata dall'Ordinario del
luogo, si deve comunque usare l'edizione tipica del «Missale Romanum».
Ogni
chiesa abbia a disposizione la forma abbreviata del Messale latino, «Missale
parvum».
13.
I canti e gli strumenti musicali
Nella
scelta e nell'uso di altri canti si tenga presente che essi devono essere degni
della loro adozione nella liturgia, sia per la sicurezza di fede nel contenuto
testuale, sia per il valore musicale e anche per la loro opportuna collocazione
nei vari momenti celebrativi secondo i tempi liturgici. Non si introduca in modo
permanente alcun testo nelle celebrazioni liturgiche senza previa approvazione
della competente autorità.
Ogni
diocesi abbia cura di segnalare un elenco di canti da eseguire nelle
celebrazioni diocesane tenendo presenti le indicazioni regionali e nazionali per
la formazione di un repertorio comune.
Anche
per l'esecuzione dei canti si curi con attenzione l'uso dell'impianto di
diffusione.
Per
quanto riguarda il sostegno strumentale si usi preferibilmente l'organo a canne
o con il consenso dell'Ordinario, sentita la Commissione di liturgia e musica,
anche altri strumenti che siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare.
La musica registrata, sia strumentale che vocale, non può essere usata durante
la celebrazione liturgica, ma solo fuori di essa per la preparazione
dell'assemblea. Si tenga presente, come norma, che il canto liturgico è
espressione della viva voce di quel determinato popolo di Dio che è raccolto in
preghiera.
14.
L'altare (cf n. 262)
L'altare
fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili
soluzioni artistiche per l'adattamento di particolari chiese e presbiteri, si
studi, sempre d'intesa con le competenti Commissioni diocesane, l'opportunità di
un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo. Se l'altare
retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la
tovaglia.
Si
faccia attenzione a non ridurre l'altare a un supporto di oggetti che nulla
hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano
sobri per numero e dimensione. Il microfono, per la dimensione e la
collocazione, non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle
suppellettili sacre e dei segni liturgici.
15.
La sede per il celebrante e i ministri (cf n. 271)
La
sede del celebrante e dei ministri sia in diretta comunicazione con
l'assemblea.
16.
L'ambone (cf n. 272)
L'ambone
o luogo della Parola, sia conveniente per dignità e funzionalità; non sia
ridotto a un semplice leggio, né diventi supporto per altri libri all'infuori
dell'Evangeliario e del Lezionario.
17.
Materia per la costruzione dell'altare (cf n. 263), per la preparazione delle
suppellettili (cf n. 268), dei vasi sacri (cf n. 294) e delle vesti sacre (cf n.
305)
Si
possono usare materiali diversi da quelli usati tradizionalmente, purché
convenienti per la qualità e funzionalità all'uso liturgico.
In
particolare, per quanto attiene la coppa del calice è da escludere l'impiego di
metalli facilmente ossidabili (ad es. alpacca, rame, ottone ecc.), anche se
dorati, da cui, oltre l'alterazione delle sacre specie, possono derivare effetti
nocivi. Nell'impiego dei vari materiali si tengano presenti le indicazioni date
in «Principi e norme per l'uso del Messale Romano», perché rispecchino quella
dignitosa e austera bellezza che si deve sempre ricercare nelle opere
dell'artigianato a servizio del culto.
18.
Colore delle vesti sacre (cf n. 308)
Si
seguano le indicazioni date in «Principi e norme per l'uso del Messale
Romano».
19.
Numero delle letture nelle domeniche e nelle solennità (cf n. 318)
La
CEI dispone nelle domeniche e nelle solennità la proclamazione di tutte e tre le
letture, per una maggiore organicità e ricchezza della liturgia della Parola che
secondo la tradizione comprende il profeta, l'apostolo e l'evangelista.
20.
Stazioni quaresimali
In
Quaresima secondo l'antica tradizione romana delle stazioni quaresimali, si
raccomandano nelle Chiese locali le riunioni di preghiera specialmente intorno
al vescovo, almeno in alcuni centri e nei modi più indicati.
Oltre
che in domenica queste assemblee - con celebrazione dell'Eucaristia o del
sacramento della Penitenza o con liturgie della Parola o con altre forme, che
richiamino anche il carattere pellegrinante della Chiesa locale - possono essere
celebrate, evidenziando maggiormente il carattere penitenziale del cammino verso
la Pasqua, nei giorni più adatti della settimana (in particolare il venerdì o il
mercoledì) o presso il sepolcro di un martire o nelle chiese o santuari più
importanti.
21.
Velazione delle croci e delle immagini (cf «Missale Romanum», p. 215)
Circa la possibilità di conservare l'uso di velare le croci e le immagini a cominciare dalla V domenica di Quaresima, ci si attenga ai criteri di ordine pastorale a giudizio dell'Ordinario del luogo.
1)
Cf SC 41; LG 11; PO 2, 5, 6; CD 30; UR 15; EM 3e, 6.
2) Cf SC 10.
3) Cf SC 102.
4)
Cf PO 5; SC 10.
5) Cf SC 14, 19, 26, 28, 30.
6) Cf SC 47.
7)
Cf SC 14.
8)
Cf SC 41.
9)
Cf PO 13.
10)
Cf SC 59.
11)
Cf per le Messe nei gruppi particolari: AcP; per le Messe con i fanciulli: PB
(cf pp. 286 ss); sul modo di unire le Ore dell'Ufficio con la Messa: IGLH 93-98
(cf pp. 663-665)
12)
SC 37-40.
13)
Cf PO 5; SC 33.
14) Cf Conc. trid.,
sess.
XXII,
Doctrina de ss.
Missae
sacrificio,
cap.
1: DS 1739-1742; Paolo VI, Sollemnis professio fidei, 30.6.1968, n.
24: EV III, 560.
15) Cf SC 7; MF: EV II, 424; EM 9.
16) Cf SC 56; EM 10
17)
Cf SC 48, 51; DV 21; PO 4.
18) Cf SC 7, 33, 52.
19) Cf SC 33.
20) Cf S.
congr.
per
il culto divino,
Lett.
circ. Eucharistiae participationem,
27.4.1973, n. 14: EV IV 2492
21)
Cf MS 14
22) Cf SC 26, 27; EM 3d.
23) Cf SC 30.
24) Cf MS 16a.
25)
Sermo 336, 1: PL 38, 1472.
26)
Cf. MS 7, 16; Messale Romano, Ordinamento dei canti della
Messa, ed. tip. 1972, «Premesse»: EV IV, 1669 ss
27) Cf SC 54; IOe 59; MS 47.
28) Cf SC 30.
29) Cf SC 39.
30 Cf SC 30; MS 17.
31) Cf SC 33.
32) Cf SC 7.
33) Cf SC 51.
34) Cf IOe 50.
35) Cf SC 52.
36) Cf IOe 54.
37)
Cf IOe 53.
38) Cf SC 53.
39) Cf IOe 56.
40) Cf SC 47; EM 3a, b.
41) Cf IOe 91; EM 24.
42)
Cf SC 48; PO 5.
43) Cf EM 12, 33a.
44)
Cf EM 31, 32; sulla facoltà di comunicarsi due volte nello stesso giorno: cf
CIC, c. 917.
45) Cf SC 14, 26.
46) Cf SC 28.
47) Cf LG 26, 28; SC 42.
48)
Cf SC 26.
49) Cf PO 2; LG 28.
50) Cf SC 48; EM 12.
51) Cf MS 19.
52) Cf MS 21
53) Cf SC 24.
54) Cf IC 1.
55)
Cf LI 7.
56)
Cf SC 41.
57)
Cf SC 42; EM 26; LG 28; PO 5.
58) Cf EM 47; S.
congr.
per
il culto divino,
Dich.
In celebratene Missae,7.8.1972: EV IV,
1742 ss.
59) Cf EM 26; MS 16, 27.
60) Cf S. CONGR.
PER
IL CULTO DIVINO, Decr. Cum de nomine
Episcopi, 9.10.1972: EV IV, 1794 ss.
61)
Cf MQ VI (cf pp. 487-488).
62) Cf SC 57; CIC, c. 902.
63)
Cf EM 47.
64)
Cf Ritus servandus in concelebratione Missae, n. 3.
65)
Cf ibid., n 8.
66)
Cf s. Congr. dei Riti, Decr. gen. Ecclesiae semper,
7.3.1965: EV II, 384-388; EM
47.
67)
Cf Ritus servandus in concelebratione
Missae, n. 9.
68) Cf EM 32.
69) Ct
Conc.
Trid.,
sess. XXI, Doctrina de communione
sub utraque specie et parvulorum, cap. 1-3: DS 1725-1729.
70) Cf ibid., cap. 2: DS 1728.
71) Cf S. CONGR.
PER
IL CULTO DIVINO, Istr. Sacramentali
Communione, 29.6.1970: EV III, 2629 ss.
72)
Cf SC 122-124; PO 5; IOe 90; EM 24.
73) Cf SC 123.
74) Cf EM 24.
75) Cf SC 123,129; IOe 13c
76) Cf SC 123.
77) Cf SC 126.
78)
Cf IOe 97-98.
79) Cf IOe 91.
80) Cf EM 24.
81)
Cf IOe 91.
82)
Cf IOe 93.
83)
Cf IOe 92.
84)
Cf IOe 96.
85) Cf SC 32;IOe 98.
86)
Cf MS 23.
87)
Cf EM 53; Rituale Romano, Rito della
Comunione fuori della Messa e culto eucaristico, ed. tip. 1973, n. 9 (cf p.
338).
88) Cf EM 54:IOe 95.
89)
Cf EM 52; IOe 95; S. CONGR. DEI SACRAMENTI, Istr. Nullo umquam tempore, 28.5.1938, n. 4:
AAS 30 (1938), pp. 199-200; Rituale
Romano. Rito della Comunione fuori della Messa e culto eucaristico, cit.,
nn. 10-11 (cf pp. 338-339).
90)
Cf SC 125.
91) Cf SC 128; EM 24.
92) Cf SC 128.
93) Cf SC 128.
94)
Cf SC 51.
95)
Cf SC 61.
96)
I numeri a fianco dei titoli si riferiscono a «Principi e norme per l'uso del
Messale Romano».